TEMI   DI   PSICODIALETTICA

a cura del

Centro  internazionale  di  Psicodialettica

Caposcuola e fondatore: Prof. Luciano Rossi

Responsabile del Centro: Dott.ssa Lisa Marchetta

 


La dialettica della fiaba

 

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La dialettica della fiaba

di Roberta Rossi

 

 

“E ora intonate l’Evohè!”, [gridò Orfeo]. “Evohè!”, gridarono gli araldi ai quattro lati del tempio. “Evohè!”, rispose la folla tripudiante raccolta sui gradini del santuario. E il grido di Dionisio, l’invocazione sacra alla rinascita, alla vita, rotolò lungo la valle ripetuta da mille bocche, rimandata da tutti gli echi delle montagne. E i pastori nelle gole selvagge dell’Ossa, con i loro armenti sospesi fra cielo e terra nelle foreste, su, vicino alle nuvole, risposero:”Evohè!”[1]

E. Schuré

  

“Evohé!” grida la voce narrante, il cantore archetipico. “Evohé!” risponde il cuore che ascolta. “Evohé!” rispondono gli iniziati, “dall’Egitto alla Giudea, dalla Fenicia all’Asia Minore e alla Grecia”[2]. Gli iniziati, che si faranno cantori a loro volta, perpetuando una tradizione orale che, iniziata attorno ai fuochi della preistoria, si diffonderà poi nei sentieri e nelle piazze, nella strade e nei templi. E l’incanto narrativo, che dolcemente si diffonde dalla lira d’Orfeo, il cantore primigenio, per propagarsi dai monti della Tracia alla Grecia tutta, trasmette, con la sua malia, sempre la stessa storia: la prova, la discesa agli inferi, il ritorno. Miti e fiabe raccolgono tale eredità, e la loro voce vince, di valle in valle, l’altrimenti tragico silenzio dei secoli. Sono i loro caratteri universali che ne determinano la verità, la verità dei miti[3], e, con essa, il loro fascino e la loro persistenza.

Ancora oggi persistono i miti. Ancora l’attenzione degli studiosi contemporanei, moderno popolo della radura, si ferma su fiabe e miti, e sogni[4], rispettosa, silente, ancora una volta stupita[5].

E, fra questi, anche Jung, moderno incantatore, scienziato del mistero, delle vette e degli abissi, non può essere indenne da tale fascinazione. Ma il suo interesse non è volto, come per Freud, alla psiche individuale soltanto. Non era l’eco della psiche personale quello che Jung andava principalmente cercando, bensì l’espressione di quella collettiva. Per lui la fiaba, come il mito,    

 non è riferibile ad un singolo autore e perciò le informazioni che fornisce sulla vita psichica non riguardano le peculiarità di un individuo, ma caratteristiche comuni a tutta una collettività[6].   

Così tutto il materiale folcloristico diviene oggetto privilegiato della sua Psicologia Analitica, come del pari lo diventa ogni elemento che sia manifestazione diretta dell’inconscio collettivo. Grandi emozioni dovevano sollevarsi nei cuori del popolo della radura. Fu là, fu allora, che gli archetipi mostrarono, per la prima volta, il loro grande potere, la loro enorme energia. Fu per il tramite di miti e di fiabe che l’uomo poté entrare in contatto con queste cariche psichiche intense:   

nell’inconscio sono costellati contenuti i quali, in mancanza di concetti appercettivi in grado di afferrarli, comprenderli, non possono essere assimilati alla coscienza[7]. [...][Miti e fiabe sono valutati da Jung come] simboli strumentali tramite i quali i contenuti inconsci possono essere canalizzati nella coscienza e lì integrati e interpretati[8].

 

 Nel processo d’individuazione si evidenzia così anche la correlazione reciproca fra la vita psichica individuale e quella collettiva. Correlazione, biunivoca, fra l’individuazione dell’umanità e quella del singolo. Così che possiamo considerare la fiaba come la narrazione, a livello simbolico, non solo del percorso collettivo, ma anche di quello personale, pertinente ad ogni individuo.  

 

Le fiabe in quanto storie con un inizio, un decorso e un termine, possono allora essere viste anche come rappresentazioni di forme tipiche del processo d’individuazione. [...], nonostante la forma specifica assunta dal cammino particolare d’ogni uomo, gli elementi da cui tale forma risulta sono comuni a tutti e certe relazioni fra aspetti della psiche sono costanti, tanto da poter essere rappresentate in modo tipico nelle fiabe.[9] 

 

In ogni fiaba ricorre il medesimo schema narrativo: il protagonista si trova, per una serie di circostanze, a dover affrontare un cammino. Il suo scopo è il raggiungimento di un oggetto prezioso, fondamentale per lui, per realizzare il suo progetto. L’eroe, d’ora in poi lo chiameremo così, si deve però sempre confrontare con varie difficoltà per raggiungere la sua meta: 

“la cosa preziosa difficilmente raggiungibile” è rappresentata da un cerchio, una sfera, dalla pietra filosofale, dalla stella o dal diamante ecc. Questo centro dell’anima è insidiato da pericoli e incontrarlo costituisce una esperienza sconvolgente. E’ la meta ultima del viaggio di ricerca dell’eroe o dell’eroina che incontriamo nelle fiabe e nei miti e, perlopiù, è anche il fine ultimo delle religioni superiori[10].  

 

Questa “meta ultima” altro non è che un simbolo del Sé, “nucleo interiore di natura divina”[11]. Meta, allora, che, proprio per questo suo carattere, fa apparire il processo d’individuazione come un processo connaturato all’uomo: spontanea realizzazione di un piano strutturale interno, vero e proprio programma che determina lo sviluppo della relazione fra l’Io e l’inconscio, e che porterà al raggiungimento del Sé. Non naturale è, certo, vivere questo Sé nascosto, ma naturale, connaturata, abbiamo detto, è la spinta a cercarlo, a liberarlo.

L’eroe, che nel mezzo del cammino si perde nella foresta e riesce a ritrovare la giusta strada grazie ad uno “spirito guida”, è una delle costanti tipiche della narrazione fiabesca, e presenza fissa sul palcoscenico del processo individuativo. Lo Spirito guida di cui si occupa Jung nel suo studio della fiaba, è un personaggio archetipico ed autonomo[12], manifestazione di una funzione psichica specifica. Funzione spirituale rappresentata, nei sogni della psiche individuale, da immagini di tipo paterno: un uomo, un vecchio, un animale, un mago, uno gnomo, talvolta anche un defunto che torna dal regno dei morti.

L’archetipo dello Spirito guida compare, nella vita onirica, quando c’è bisogno di lui, nei momenti aridità, di particolare “carenza spirituale”[13]; e comparendo egli porta al sognatore la soluzione adeguata, necessaria a superare la situazione di scacco.

Come nel sogno, anche nella fiaba la manifestazione dello Spirito guida avviene nei medesimi frangenti: 

 

Il vecchio [...] appare [nella fiaba] quando l’eroe si trova in una condizione critica o disperata, dalla quale può liberarlo soltanto una profonda riflessione o un’intuizione fulminea e felice, dunque una funzione spirituale o un automatismo endopsichico[14]. 

 

Quasi in ogni fiaba possiamo notare la presenza di un personaggio, spesso un vecchio, che soccorre il protagonista nel momento della difficoltà: indicando la strada, dando suggerimenti preziosi o compiendo magie; in ogni caso lo Spirito interviene sempre colmando le lacune dell’eroe.

Il Vecchio rappresenta quindi il pensiero personificato, la capacità di riflessione e di concentrazione necessarie per la conclusione del cammino iniziato. 

 

L’archetipo dello spirito, in forma di uomo, gnomo o animale, si presenta sempre in una situazione in cui perspicacia, intelligenza, senno, decisione, pianificazione ecc., sarebbero necessari, ma non possono provenire dai propri mezzi. L’archetipo compensa questo stato di carenza spirituale con contenuti capaci di colmare questa lacuna[15]. 

 

Ma lo Spirito guida, come tutti gli archetipi, oltre ad avere una connotazione favorevole e positiva, ne ha anche una sfavorevole e negativa. Spesso, sotto forma d’incontro: con la “strega malvagia” od il “lupo cattivo” o, ancora, il guardiano della soglia.

Ma, anche in questo caso e ancora una volta, il male porterà al bene. Per enantiodromia. Perché, come sappiamo, da Eraclito in poi, ogni opposto corre incontro al suo opposto[16]. A tale proposito scrive Jung: 

 

il grande piano secondo il quale è costruita la vita inconscia dell’anima si sottrae talmente alla nostra penetrazione che non possiamo mai sapere quale male sia necessario ad attirare per enantiodromia un bene e quale bene indurrà al male[17]. 

 

Ma torniamo sui nostri passi e occupiamoci di quella che avevamo detto essere la struttura di base della fiaba. Rifacciamoci a Vladimir Propp e alla sua insuperata analisi sulla morfologia del racconto fiabesco.

Dice Propp: in queste storie esistono elementi costanti ed elementi variabili. Cambiano, ad esempio, i nomi dei personaggi, ma ciò che questi fanno rimane costante. La ripetitività delle loro azioni è significativa e costituisce la struttura fondamentale della fiaba. Queste azioni caratteristiche, o funzioni, come le chiama Propp, “sono straordinariamente poche” e la loro successione è “sempre identica”. La fiaba ha dunque struttura monotipica.  L’impossibilità di trovare nuove funzioni, oltre a quelle tipiche, fa sì che l’esame morfologico dell’esperto possa limitarsi a poche fiabe. A questo proposito, egli afferma: 

 

 ... la ripetibilità delle parti componenti fondamentali, come vedremo, è superiore ad ogni attesa e quindi da un punto di vista teoretico è lecito prendere in esame una quantità ridotta di documenti[18]. 

 

Propp sembra sorprendersi di questo. Se ascoltiamo quello che afferma, possiamo ben concludere che egli abbia l’aspettativa di un maggior numero, di una maggiore variabilità, di temi e di funzioni. Secondo noi c’era, invece, proprio da attenderselo, alla luce unificante e collettiva dell’archetipo, che tali elementi fossero pochi. Evidentemente la produzione, la proiezione del materiale psichico più profondo, mostra che i contenuti transpersonali, e collettivi, sono universali; che abbiamo un inconscio collettivo, una parte di psiche comune a tutti, e che è lui, quest’inconscio comune, a produrre il materiale, affascinante e potente, delle fiabe.

Evidentemente le fiabe trattano di qualcosa che appartiene alla nostra comune psico-neuro-fisiologia.

Vediamo dunque quali sono alcuni di questi elementi, sempre presenti secondo l’analisi di Propp. N'elencheremo, abbiamo detto, solo alcuni. Ma, anche se l’elenco viene qui proposto in forma ridotta, sono in verità trascurati soltanto elementi di minore significatività o che sono poco determinanti ai nostri scopi. Ecco allora gli elementi per noi di maggior respiro narrativo.

 

1 - All’eroe è imposto un divieto

2 - Tale divieto è infranto.

3 - Uno dei membri della famiglia si allontana da casa

4 - Entra in scena l’antagonista.

5 - L’antagonista tenta di ingannare l’eroe.

6 - L’eroe cade nel tranello. 

7 - L'eroe è messo alla prova come preparazione al conseguimento di un mezzo o di un aiutante magico.

8 - Il mezzo magico perviene in possesso dell’eroe.

9 - Per mezzo di esso l’eroe si trasferisce, è portato o condotto sul luogo dove si trova l’oggetto delle sue ricerche.

10 - L’eroe e l’antagonista ingaggiano direttamente la lotta.

11 - L’antagonista è vinto.

12 - È rimossa la sciagura o la mancanza iniziale.

13 - L’eroe ritorna.

14 - L’eroe si sposa e sale al trono.

 

Analizzando questi 14 elementi funzionali, delineati da Propp, abbiamo pensato che essi potessero essere significativamente raggruppati in cinque classi d’eventi o condizioni. 

 

a) L’eroe si trova in una condizione iniziale limitante (divieto, assenza d’oggetto del desiderio). (Fase iniziale. Punto 1 dell’elenco) 

b) L’eroe trova la forza di disubbidire e di abbandonare il campo che lo vede privo di potere. (Primo movimento. Punti 2 - 3) 

c) L’eroe è ora lontano da casa, alla ricerca di un oggetto importante per lui, che lo farà partecipare al potere ed entrare in una nuova condizione. Compie un’impresa o un viaggio pericolosi, pieni d’ostacoli. Ha uno o più antagonisti. Il destino vuole la sua vittoria e lo soccorre sotto forma d’aiutante dotato di poteri sovrannaturali. L’eroe dà prova di tenacia, supera tutte le battaglie, merita la fine delle sue prove e del suo esilio. Trova l’oggetto cercato. (Seconda fase. Punti 4 -12) 

d) L’eroe ritorna. (Secondo movimento, opposto al primo. Punto 13) 

e) L’eroe cambia status, entra nel mondo degli adulti. (Terza fase. Punto 14)

 

 Tre condizioni fondamentali (tre dimore) dunque, e due movimenti (due abbandoni di dimora). Dimora presso la casa o la famiglia, abbandono della prima dimora, dimora variabile (“nomadismo in terra inospitale[19]” piena di prove e d’insidie, peregrinatio vitae) abitata nel pericolo e senza i sostegni familiari, dimora presso una seconda casa in condizione di maggior potere o ricchezza esistenziale.

Vogliamo ora portare un esempio qualsiasi, riassumere una favola, da cui enucleare tre condizioni e due passaggi. Sarà scelta la fiaba di Vassilissa, notissima in Russia e nell’Est europeo. Ne sarà fatta, come sopra riportato, un’analisi dialettica a cinque elementi. Eccone il testo sommario.

 

 - C’era una volta una bambina, Vassilissa. Un brutto giorno le morì la madre buona e lei restò sola col padre. Sul letto di morte la madre le aveva dato la sua benedizione e una bambola magica da portare sempre con sé. “Se ti perderai o avrai bisogno d’aiuto, domanda a questa bambola che fare e sarai assistita”, le aveva detto. Il padre presto si risposò. Una matrigna, a sua volta vedova e con due figlie, venne ad abitare nella casa. Le tre donne cominciarono ben presto a umiliare e tormentare Vassilissa. Infine pensarono addirittura di farla morire mandandola nella foresta, di notte, dalla strega Baba Jaga a prendere il fuoco. Baba Jaga era conosciuta come una strega che mangiava i bambini. 

 

- Vassilissa ubbidiente partì.  

 

- Piena di paura, con la bambola in tasca.  Ad ogni bivio chiedeva consiglio e la bambola rispondeva. Cammina, cammina, Vassilissa arrivò all’orribile tana di Baba jaga. “Cosa vuoi?” “Ho bisogno del fuoco”. “Cosa ti fa pensare che ti darò la fiamma?”. “Perché lo chiedo”. “Non potrò dartelo se non pulirai tutta la tana per me. E se non lo farai morirai”. La bambola fece quest’enorme lavoro per lei, e altre fatiche ancora, che la strega le commissionò dopo quella. “Ecco qua, ragazza, ecco! E ora vattene”. E le diede un teschio pieno di carboni ardenti. 

 

- Vassilissa comprese di dover andare di corsa, prima che la vecchia si pentisse.  Corse e corse, seguendo la strada che la bambola le indicava.  

 

- Entrò in casa con un senso di trionfo. Era sopravvissuta ad un periglioso viaggio ed aveva riportato il fuoco nella sua casa. Durante la notte il teschio incenerì le tre donne.   

Gli stacchi volutamente lasciati nella grafica del testo della favola già fanno intuire la struttura quinaria Vita-Morte-Vita del racconto. La storia si suddivide molto chiaramente nei cinque momenti, e nei cinque compiti, già evidenziati. I cinque momenti sono:    

1 – Condizione deficitaria

2 – Primo passaggio

3 – Condizione d’estraneità

4 – Secondo Passaggio

5 – Condizione arricchita.

 

 Mentre i compiti possono essere così esplicitati: 

 

1 – Primo compito: Raccogliere l’eredità dalla casa d’origine

2 – Secondo compito: Lasciare la casa 

3 - Terzo compito: Conquistare il tesoro custodito dal drago (nel nostro caso il fuoco custodito dalla strega cattiva) resistendo alla paura e alla solitudine -lontananza

4 – Quarto compito: Ritornare a casa.

5 – Quinto compito: Vivere “felici e contenti” (completi e armoniosi) 

 

La fiaba ci dà tutta una serie d’insegnamenti. Occorre lasciar “andare” la madre buona, la rassicurante condizione originaria, per quanto dolce essa sia. La ricerca d’una condizione nuova richiede tante cose: prove, dolore, pericoli, solitudine, lontananza, viaggio iniziatico. Quando la ricerca è compiuta è bene tornare là da dove si era partiti, perché è là che il tesoro va integrato. Ci dice anche che il nostro istinto ci guiderà, alla stessa stregua del principium individuationis. Il racconto ci dice poi che dovremo sopportare l’alterità del nostro doppio, dei nostri “proietti”, per quanto ostili e scuri essi siano.

 

 


[1] Schuré, E., Op. cit., pagg. 174-175

[2] Schuré (Ibidem, pag. 175) c’informa che ”Evohè” era il grido sacro di tutti gli iniziati.

[3] Hübner, K., (1985), La verità del mito, Milano, Feltrinelli, 1990

[4] “Oh, un dio è l’uomo quando sogna, un mendicante quando riflette e, quando l’estasi [del sogno] si è dileguata, si ritrova [col solo pensiero] come un figlio fuorviato che il padre cacciò via di casa e contempla i miseri centesimi che la pietà [del padre] gli ha dato per il suo cammino”. Hölderlin, F., Iperione, Milano, Feltrinelli, pag. 30.

[5] “Oggi la natura ancora fiorisce, ancora sorride, non invecchiata l’immagine della terra, ancora ci sono i numi nel cielo, e cioè sorgenti, e rive, e boschi, alture, ancora vive l’etere, ancora si vedono i monti sui quali un giorno Dio apparve ai profeti, i monti che erano le mense degli dei, ancora ci rallegrano i prati su cui essi camminavano come su verde tappeto, ...”(frammenti di Hölderlin citati da Hübner in La verità del mito, pag 22)

[6] Carotenuto, Trattato di Psicologia Analitica, Vol. I, pag. 617

[7] Jung, C.G., (1951), Aion: ricerche sul simbolismo del Sé, Torino, Boringhieri, in Opere, IX, parte seconda, pagg. 158-169

[8] Ibidem

[9] Carotenuto, Trattato di Psicologia Analitica, pag. 622

[10] Von Franz, M.L., (1977), L’individuazione nella fiaba, Torino, Boringhieri, 1987, pag. 7

[11] Ibidem

[12] L’autonomia dell’archetipo è da intendersi nel senso dell’indipendenza delle sue manifestazioni dalla coscienza.

[13] Jung, C.G., (1946-1948), “Fenomenologia dello spirito nella fiaba”, in Gli archetipi e l’inconscio collettivo, Torino, Boringhieri, in Opere, IX, parte prima, pag. 209

[14] Ibidem, pag. 211

[15] Ibidem

[16] Una versione più letterale del medesimo concetto, e che lo rende più criptico e poetico ad un tempo, la troviamo in Diels e Kranz, Die fragmente der Vorsokratiker, Berlino, 1951. Il frammento contrassegnato in quell’edizione con la sigla DK22D8, recita testualmente: “L’opposto in accordo e dai discordi bellissima armonia e tutto avviene secondo contesa”. Immaginiamo che ciò possa voler significare: “L’opposto [è] in accordo [con l’opposto] e [così] dai discordi [emana una] bellissima armonia e tutto avviene secondo contesa”.

[17] Jung, C.G., Fenomenologia dello spirito nella fiaba, pag. 211

[18] Propp, V., (1928), Morfologia della fiaba, Torino, Einaudi, 1988, pag. 30

[19] Dice Franco Rella (L’enigma della bellezza, pag. 109), citando Remo Bodei ma senza precisarne la fonte, che il “nomadismo in terra inospitale [è] esodo in vista della costruzione di una nuova e diversa «Patria dello Spirito». Anche Hegel cercava l’unità degli opposti là dove, come ha detto Hölderlin, nessun sapere si è mai spinto. Questo tentativo è la dialettica, che dissolve le configurazioni abituali, per creare nuove configurazioni del pensiero e della realtà.”

 


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