TEMI   DI   PSICODIALETTICA

a cura del

Centro  internazionale  di  Psicodialettica

Caposcuola e fondatore: Prof. Luciano Rossi

Responsabile del Centro: Dott.ssa Lisa Marchetta

 


Epistemologia della psicodialettica

 

Home | Presentazione | Storia del Centro | Il pensiero | Trasformazione | Letture

Pubblicazioni | Links | Articoli | Proprietà | La pagina letteraria  


EPISTEMOLOGIA DELLA PSICODIALETTICA 

 

Conferenza tenuta dal prof. Giacomo Rinaldi (Hegel’s Society of Amerika) sulla filosofia psicodialettica di Luciano Rossi. (Parma, Aula Magna dell'Università, il 20-11-'92).

 

 

  

  

É possibile una psicologia dialettica come scienza? Questo è il quesito fondamentale che solleva il libro Negazioni di Luciano Rossi.

Questa raccolta di saggi di Rossi presenta certamente più di una seria difficoltà, sia al let­tore che al critico, in vista di una adeguata comprensione ed equa valutazione delle conferenze settoriali in essa contenute, composte in diverse circostanze e sotto l'influenza di diverse tradi­zioni scientifiche e culturali, che si sentono vertere su tre tematiche, prima facie eterogenee:

1) il problema epistemologico, con la chiarificazione e la fondazione del concetto di artifi­ciale, quale è assolutamente impiegato in una recente disciplina scientifica quale la computer sciences.

2) il problema ermeneutico dei chiarimenti del senso dell'esistenza umana e della vita etica mediante l'interpretazione dei simboli, delle allegorie e dei miti, in cui, quantunque in maniera ambigua e sfuggente, e dunque enfaticamente non scientifica, essa pare tuttavia rivelarsi.

3) il problema filosofico strictu sensu della comprensione dell'essenza e del processo di immanente autoformazione della vita psichica dell'uomo e della sua soggettività autocosciente.

Tale apparente eterogeneità tematica tuttavia appare notevolmente ridursi, se non dissolve­rsi, ove si ponga mente al fatto che la vicenda categoriale, cui Rossi fa costantemente e coeren­temente riferimento in tutte le sue ricerche, determinandone sia l'impostazione che la soluzione, coincide senz'altro con la dialettica filosofica idealistica di Hegel.

Nel saggio La deriva delle mediazioni: un mandato etico, ad esempio, il concetto di artifi­ciale viene chiarito in termini di mediazione, ora intriseca, ora estrinseca, tra cultura e natura, che vengono a loro volta spiegate in rapporto all'opposizione epistemologica di soggetto ed oggetto, insistendo inoltre sul carattere storico, processuale, dinamico, della loro mutua de­terminazione.

L'intero significato, attualità e validità del discorso svolto da Rossi in questo libro dipende dunque strettamente dal carattere e dai limiti della sua appropriazione ed elaborazione di al­cuni concetti fondamentali dell'idealismo speculativo hegeliano. Risulta senz'altro irreperibile in esso una loro discussione di carattere logico-metafisico; Rossi appare piuttosto interessato alla esplicitazione dei momenti categoriali più generali del metodo e dell'ontologia dialettica nella loro concreta incarnazione, nella loro presenza più intuitiva, nel flusso psichico della esperienza interiore del Sé, in altri termini in quella sfera della realizzazione dell'idea che Hegel aveva designato come spirito soggettivo e il cui momento conclusivo e più concreto, quello dello spirito libero, quale unità della totalità inconscia dell'anima e dell'opposi­zione della coscienza, egli riteneva oggetto della psicologia come scienza razionale o filo­sofica.

Il problema filosoficamente più significativo e decisivo sollevato dal libro di Rossi appare dunque potersi formulare nei termini seguenti: nell'orizzonte culturale filosofico e scientifico del nostro tempo è ancora realmente possibile la fondazione e l'elaborazione di qualcosa come una psicologia razionale filosofica come scienza, o, come egli preferisce esprimersi, di una psicodialettica, giacché, da Platone in poi, la dialettica è sempre stata il metodo imprescindibile di ogni genuino filosofare?.

L'analogia con la celebre formulazione kantiana del fondamentale interrogativo della Critica della ragion pura: è possibile una metafisica come scienza? è ovviamente intenzionale, giac­ché il tentativo di contrapporre al tradizionale metodo metafisico il metodo dialettico è consi­derarsi fallito in toto ed ogni genuina spiegazione dialettica della vita concreta dello spirito umano, o della realtà della stessa natura, rimane sempre comunque una sorta di spiega­zione metafisica. O per lo meno ne implica necessariamente una.

Il problema della fondazione di una psicologia dialettica risulta perciò sostanzialmente identico a quello di una possibilità di quello di una metafisica della psiche, o anche, come si potrebbe dire, una metafisica della mente, giusta la celebre espressione di Bertrando Spaventa, come scienza. La formulazione di una risposta articolata pienamente giustificata, e dunque certa o apodittica, a tale interrogativo trascende ovviamente i limiti sia del volume di Rossi che di questa nostra discussione.

In questo contesto potremmo limitarci a chiederci:

a) quale è il contributo più originale e significativo che le riflessioni di Rossi arrecano all'elaborazione e soluzione di tale problematica?

b) sono veramente convincenti le più celebri obiezioni sollevate dalla filosofia contempo­ranea contro la stessa possibilità di una psicologia dialettica come scienza?

Ritengo che una concezione non meramente superficiale o generica della vita di coscienza come intrinsecamente dialettica sia senz'altro impensabile ove si neghi, o per lo meno si metta in dubbio, la verità dei seguenti fondamentali assunti:

a) la coscienza non è un fisso e statico essere, astratta identità con sé, bensì processo, essere immediato astratto che si nega come essere per porsi come essere intrinsecamente im­mediato e concreto negando in tal modo l'originale negatività della sua immediata astrat­tezza; in quanto processo la coscienza è dunque negatività, alterazione, scissione in opposti contraddittori ed esclusivi, ed è altresì doppia negazione, duplex negatio, ossia soluzione e riconciliazione della sua immanente contraddittorietà in una totolità concreta e finale. Il pro­cesso della coscienza dunque non è mero lineare divenire temporale come al contrario crede­vano sia Husserl che Heidegger bensì divenire che ritorna in se stesso, movimento circolare che ricostituisce l'originaria identità e dunque toglie (aufhebt) la molteplicità successiva del tempo nell'identità concreta dell'eterno.

b) La coppia più concreta originaria e decisiva di opposizione dielettica è quella del sog­getto e dell'oggetto; ogni psicologia genuinamente dialettica sarà dunque tenuta a negare deci­samente la realtà attuale di qualsivoglia oggettività extramentale esteriore, non in sé e per sé mediata con il soggetto nella cui esperienza essa si costruisce, come pure la realtà at­tuale di un soggetto meramente contingente, individuale nella cui relatività di coscienza non sia di necessità immanente l'universalità e necessità dell'oggettività come tale.

c) Nella mediazione reciproca di soggetto ed oggetto il primo non è mai meramente passi­vo, ricettivo, bensì attivo e creativo. Il secondo non è mai un mero dato un elemento radical­mente estraneo, altro rispetto all'identità dell'autocoscienza, bensì ne é, immediatamente o mediatamente, un prodotto. Ogni atto psichico è certamente come voleva Husserl un atto inten­zionale; conoscere, pensare, è conoscere, pensare qualcosa. Ma il qualcosa che è conosciuto, pensato non è mai un mero fatto (das Sache); al contrario è il risultato di una necessaria azio­ne (Tat) del soggetto. Conoscere non è patire bensì creare e il processo creativo dell'oggetto é, nel contempo, l'autoctisi, come direbbe Gentile, l'atto autocreativo del soggetto. Il sogget­to che così pone se stesso non è mai l'astratto io singolare, contrapposto al tu, ma quell'io che è nel contempo un noi, quell'io intrinsecamente sociale con cui Hegel, nella Feno­menologia dello spirito, identificava la stessa essenza affermativa della ragione. Il processo del conoscere dunque non è imitazione di una realtà extra-mentale già data bensì assoluta posizione della totalità dell'oggetto, ma ciò non significa in alcun modo ridurre la cono­scenza al risultato illusorio di una arbitraria associazione di idee o meglio di rappresentazioni atomiche come volevano Hume e Stuart Mill, né all'istituzione, storicamente condizionata, di un corpo di conoscenze la cui unica validità possibile è la loro conformità ai presupposti teorici di una determinata epoca storica, come vuole lo storicismo ad esempio di ... o di H. G. Gadamer, o più trivialmente il loro successo, come sostengono i pragmatisti vecchi e nuovi.

L'assoluta creatività del conoscere non compromette l'oggettività e l'universalità del suo risultato in quanto in qualsivoglia stadio evolutivo della coscienza è di necessità immanente, virtualmente e attualmente, la pura attività dell'intelligenza o pensiero logico che non sarebbe certamente logico se non si determinasse conformemente a principi universali e necessari, dun­que in sé e per sé oggettivi. Nel concreto processo del conoscere dunque l'iniziativa originaria è certamente del soggetto, dell'io autocosciente, ma questo, per così dire, [non ?] ne riflette la propria immediatezza nel contenuto pensato, bensì in certo modo toglie la propria astratta sog­gettività nel prodotto del suo pensiero, garantendone così l'oggettiva identità con sé. Io credo che sia senz'altro legittimo asserire che a tutti tali essenziali momenti di ogni genuina conce­zione dialettica della mente sia dato trovare un qualche riscontro nella riflessione di Rossi.

Particolarmente felice è la sua insistenza sull'unità originaria degli opposti, del soggetto e dell'oggetto, della cultura e della natura, dell'ideale etico, del dover essere e del benessere in­dividuale. "Occorre rifiutare - egli perentoriamente afferma - ogni cosa che non si esperisce anche internamente, ogni ontologia che non sia anche una propria ontologia; all'uomo, che non è né Dio né Serpente, non si addicono né un bene astratto né un male concreto; all'uomo non sono intrinseche né la purezza né la colpa, l'uomo è fatto per un bene concreto, per un bene fattosi carne".

L'attività del conoscere, secondo Rossi, non è mera imitazione, bensì costruzione dell'oggetto e tale costruzione di necessità si adegua ad un modello interiore; in termini più precisi potremmo dire alla soggettività a priori del concetto. Dice Rossi: "Proiettiva anche è sempre stata la attività mentale o psichica, l'uomo costruisce immagini personali del mondo fuori di sé partendo da modelli interiori. Ciò che dunque l'uomo costruisce fuori di sé è una duplicazione di parti di se stesso. La proiezione consente allora il costruire e il costruirsi dell'Artifex che continuamente ri-conosce e ri-costruisce se stesso, dandosi nuove forme".

Né meno chiaro è a Rossi il carattere intrinsecamente dinamico evolutivo della vita di co­scienza; a più riprese egli giustamente contrappone la concezione hegeliana dello spirito, che è veramente assoluto solo al termine del suo immanente processo di sviluppo, di negazione e di inveramento delle sue fasi immediate ed imperfette in certi casi anche inconsce, a quelle kantiane e fichtiane, rispettivamente dell'io trascendentale e dell'io puro, la cui autoposizione è assoluta solo nel senso limitativo di essere solo originaria ed immediata e di non essere per ciò stesso in grado di dar ragione della successiva posizione della molteplicità finita: il dato sensibile in Kant, il non-io in Fichte.

Le acquisizioni più originali di Rossi in questo libro ci sembrano consistere nella sua cri­tica della relazione tra ermeneutica e dialettica in Paul Ricoeur, come pure nel suo chiarimento del carattere e della funzione dei concetti metodologici fondamentali di analisi e sintesi nell'articolazione immanente del pensiero dialettico. Non direttamente [?] in questo da Gada­mer, Ricoeur riconosce sì il valore ontologico della dialettica hegeliana ma ritiene anche di poter scorgere in essa un residuo di astrattezza a cui farebbe riscontro un siffatto complemen­tare residuo nella concezione archeologica della vita psichica sostenuta da Freud e da Jung. Sì che entrambe tali unilaterali opposte concezioni dovrebbero essere integrate da e in un supe­riore punto di vista: quello appunto dell'ermeneutica. "Ciò che ferma Ricoeur, osserva giusta­mente Rossi, a noi pare essere, anche se lui non lo dice, la sintesi della dialettica con qualcosa di ulteriore, operazione che lo trasporterebbe in posizione meta rispetto alla dialettica, facen­dolo uscire dall'universo di discorso in cui si era posto. Per noi quella che cronologicamente precede l'altra ed è di livello inferiore è la sintesi parallela o singola di Jung; quella che viene dopo e che dà completezza è la sintesi seriale che Hegel osserva nella storia e che descrive con metodo fenomenologico".

Non v'è dunque alcuna sorta di ermeneutica che possa integrare le presunte deficienze della dialettica bensì è la stessa dialettica che può e deve porsi come integrazione ultima e definitiva di ogni possibile ermeneutica. Dice Rossi: "La sua (di Hegel) fenomenologia non è un erme­neutica da opporre a quella freudiana; può però proporsi come una dialettica fra due ermeneu­tiche"

Quanto ai concetti di analisi e sintesi, Rossi osserva giustamente che essi, se da un lato co­stituiscono due momenti essenziali dell'articolazione strutturale immanente del metodo dialet­tico, dall'altro tuttavia non intervengono nella filosofia hegeliana come contenuti categoriali da essi(a?) esplicitati e tanto meno come opposti unilaterali che esigerebbero una ulteriore me­diazione o sintesi.

Osserva giustamente Rossi: "Analisi è per noi divisione dell'unità e successiva opposizio­ne delle parti divise; sintesi è al contrario ricomposizione e riunificazione delle componenti separate dall'analisi. Analisi e sintesi costituiscono una particolare coppia di opposti che non appartiene alla consueta classe di coppie di opposti. Entrambe, analisi e sintesi, si trovano dunque fuori, in posizione meta, rispetto ad ogni coppia suscettibile di essere separata da un'analisi e separata da una sintesi."

Ciò val tanto quanto dire forse che analisi e sintesi, non diversamente ad esempio da astrat­to e concreto, son concetti che pur svolgendo una funzione senz'altro imprescindibile nella dialettica hegeliana non sono e non possono essere tuttavia tematizzati in essa come categorie logiche; si tratta forse, come ha osservato P. Grier, nell'ammiravole saggio " ...of Hegel logic" del 1988, di un palese residuo di trascendenza categoriale non adeguatamente mediata dallo sviluppo dialettico del concetto puro hegeliano oppure, come ha invece suggerito H. Harris, in [.exposition terms] che, in quanto non sono vere e proprie categorie logiche, non necessitano, come tali di una deduzione dialettica bensì costituiscono piuttosto momenti funzionali imma­nenti dell'idea hegeliana del metodo dialettico che in questo caso la loro fondazione razionale coinciderebbe evidentemente con quella dello stesso metodo dialettico che Hegel, come noto, delinea nell'ultimo conclusivo capitolo della scienza della Logica. Non ci sembra che Rossi abbia offerto una precisa e non abigua soluzione della difficoltà. Comunque è epistemologicamente rilevante che essa non sia sfuggita all'acume del suo sguardo critico.

Il problema che a questo punto dobbiamo tentare almeno per sommi capi di affrontare e ri­solvere è quello della possibilità in linea di principio di una psicologia dialettica come scien­za e dunque di conseguenza dello stesso progetto filosofico e psicologico di Rossi. Ovviamente ha senso e rilevanza culturale discutere la possibilità di principio di una scienza solo nella mi­sura in cui, proprio come era il caso della metafisica ai tempi di Kant, una determinata ed in­fluente scuola scientifico-filosofica abbia addotto precise inequivocabili argomentazioni contro la sua possibilità. In caso contrario infatti la discussione finirebbe con l'avvolgersi steril­mente nella vuota intrinseca contraddittorietà della categoria del possibile già a suo tempo de­nunciata da Hegel; e cioè che tutto è possibile, in quanto tutto può essere enunciato nella forma logica astratta della vuota non contraddittorietà; e tutto è nel contempo impossibile in quanto, come il mero possibile, esso è privo delle condizioni necessarie che ne consentono la reale attuazione.

Ora in rapporto al problema di una psicologia dialettica come scienza non ci troviamo cer­tamente di fronte ad una vana questione di mera possibilità logica; in effetti la psicologia costi­tuisce una delle sezioni del sistema hegeliano che meno favore ha incontrato in alcuni dei più celebri pensatori che in qualche modo hanno tentato di appropriarsi del metodo dialettico: i materialisti Marx ed Hengels da un lato e gli idealisti Croce e Gentile dall'altro. In base a ra­gioni epistemologiche diametralmente opposte, vista la divergenza delle loro prospettive onto­logiche, sia gli uni che gli altri tuttavia sono apparsi concordi almeno in questo: nel negare che il metodo dialettico possa essere frettolosamente (?) applicato alla sfera dei fenomeni tradizio­nalmente studiati dalla psicologia.

Onde comprendere il senso della loro polemica è ovviamente necessario delineare almeno in maniera del tutto formale e generale il concetto hegeliano di psicologia e del suo oggetto specifico: lo spirito libero. "Quest'ultimo, Hegel afferma nello (?) al paragrafo 740 dell'Enci­clopedia delle scienze filosofiche, è il sapersi, la coscienza della totalità sostanziale dell'anima, e dunque, a differenza dell'anima, oggetto dell'antropologia, e della coscienza, og­getto della fenomenologia, esso non è più né astrattamente soggettivo né astrattamente ogget­tivo bensì è identità del soggettivo e dell'oggettivo.

"Lo spirito libero - dice Hegel - sta come la coscienza, come un lato di contro all'oggetto ed è nel contesto entrambi i lati; dunque totalità come l'anima."

Ad onta del suo intrinseco carattere di totalità tuttavia lo spirito libero è e rimane finito. "La finitezza dello spirito consiste di conseguenza nel fatto che il sapere non afferra l'essere in sé e per sé della sua ragione o altresì che questa non si porta a piena manifestazione nel sape­re." [#441]

L'idea della ragione non perviene in esso a piena manifestazione per il fatto che essa nella sfera dello spirito libero pone a se stessa un presupposto: la sua immediatezza sensibile, singo­lare, casuale, che essa nel suo ambito non appare in grado di togliere compiutamente. D'altra parte, osserva profondamente Hegel, il presupporsi della ragione a se stessa nella sfera dello spirito soggettivo e dunque il suo immanente finitizzarsi è momento necessario della piena at­tuazione della sua assoluta infinità. "L'eterno movimento è di togliere questa immediatezza, di comprendere se stesso e di essere sapere della ragione" [#441]. In altri termini: lo spirito, la ragione, può essere autenticamente infinito non già astraendo o negando il momento della sua ineluttabile finitezza, bensì solo come attività, energia, sforzo creatore che la nega e la tra­scende, e che, proprio onde negarla e trascenderla, deve ovviamente presupporla come reale, come dato immediato iniziale del suo processo di sviluppo. "In quanto finito - prosegue Hegel - lo spirito libero rimane anche meramente formale o, per lo meno, tali sono le sue produzioni [#444]." Formale é, nel linguaggio hegeliano, termine che reca seco una connotazione quasi sempre negativa. Lo spirito è negativo e formale proprio come formale è la logica scolastica tradizionale; ossia è incapace di esprimere nella sfera della propria realtà e/o concettualità il più profondo contenuto speculativo dell'assoluto.

A differenza dello spirito assoluto che, nelle sfere dell'arte, della religione e della filosofia speculativa, si eleva alla conoscenza immanente della verità della ricca concrezione organica delle sue pure determinazioni categoriali, lo spirito libero della psicologia pare piuttosto con­finato nella sfera della soggettiva certezza della persona singola e della sua interiorità astratta. E, in effetti, un fuggevole sguardo alla serie delle Begrieff Stimmungen in cui Hegel articola lo sviluppo immmanente dello spirito libero e dunque la tematica peculiare della psicologia come scienza filosofica appare confermare la sua insistenza sul carattere soggettivo e formale di que­sta sfera spirituale. La prima è la sensazione a cui fanno seguito l'attenzione, l'intuizione, il ri­cordo, l'immaginazione, la memoria, l'intelletto, il giudizio, la ragione; nella sfera pratica: il sentimento pratico, l'impulso e l'arbitrio e infine la felicità.

Possiamo dunque concludere che per Hegel lo spirito libero, oggetto della psicologia, è sì unità di anima e coscienza e dunque totalità, identità di soggettivo ed oggettivo, ma che tale to­talità, tale contenuto assoluto risulta qui ancora posto in una forma astrattamente soggettiva proprio come era il caso dell'io puro di Fichte, secondo la celebre critica hegeliana del sistema fichtiano. Le manca ancora la concretezza della forma assoluta che essa infatti consegue solo nella sfera della riflessione logico-metafisica o meglio della filosofia speculativa strictu sensu.

L'abbozzo, ora accennato, delle linee fondamentali del concetto hegeliano di psicologia, per quanto sommario, sarà tuttavia sufficiente a farci intendere le ragioni del completo disinteresse in proposito di Marx ed Engels come pure di pressoché tutti i filosofi e i sociologi che si sono appropriati della loro concezione materialistica della dialettica.

La psicologia hegeliana si propone di esplicare il processo di automanifestazione dell'idea, dell'identità del soggetto e dell'oggetto, nella sfera dello spirito dell'autocoscienza, in quanto essa è ancora meramente individuale e soggettiva. Ora, per i teorici della dialettica materiali­stica, l'identità del soggetto e dell'oggetto non è che uno dei più perniciosi residui mistici del sistema hegeliano. Il soggetto individuale non è nulla più di una santité neglijable nella dia­lettica storica economica delle classi sociali e dei rapporti di produzione E l'intera sfera della coscienza e dell'autocoscienza, sia essa individuale o collettiva, infine non è in verità altro che una mera sovrastruttura del processo materiale di produzione e riproduzione della società umana.

Quali interessi dunque potrebbe avere, per i teorici della concezione materialistica della storia, l'idea hegeliana di una psicologia filosofica razionale dello spirito libero? L'indizio, crediamo, più eloquente di quella che sarebbe sicuramente stata la risposta di Marx ed Engels all'interrogativo:"È possibile una psicologia dialettica come scienza?" è reperibile in un frammento di Engels del 1875, intitolato Dalla storia della scienza in cui egli abbozza uno schema di classificazione delle scienze che omette in toto qualsiasi accenno alla psicologia.

Le scienze che egli ivi enumera sono le seguenti: astronomia, meccanica, matematica, fisica, chimica, geologia, paleontologia, mineralogia, fisiologia delle piante, fisiologia degli animali, anatomia, terapeutica, diagnostica. Poche pagine prima egli accenna all'antropologia quale possibile mediatrice tra la morfologia e fisiologia dell'uomo e la sua storia. "Alla fine del se­colo passato - dice Engels - cioè il XVIII secolo è fondata la geologia, recentemente la cosid­detta antropologia, nome improprio, mediatrice del passaggio dalla morfologia e fisiologia, dell'uomo e delle sue razze, alla storia. Dal punto di vista della concezione meterialistica della natura della storia dunque nessuno spazio può esser più riservato al soggetto della psicologia dialettica. La fede materialistica nella realtà oggettiva della fatticità economico-sociale appa­re scalzare alla radice la stessa possibilità di principio di qualcosa come uno spirito libero.

Non meno negativo dell'atteggiamento assunto dai teorici e dai seguaci del materialismo dialettico nei confronti della possibilità di una psicologia dialettica come scienza appare esser quello dei maggiori teorici del neo-idealismo italiano: Gentile e Croce. Tale convergenza po­trebbe certo apparire prima facie paradossale, ove si ponga mente alla radicale divergenza teorica e metodologica fra il materialismo storico da un lato e lo storicismo assoluto e l'ideali­smo attuale dall'altro.

In realtà le ragioni decisive, che inducono Gentile e Croce a polemizzare non solo contro la psicologia empirica, naturalistica e meccanicistica, cosa ovvia, visto il loro orientamente idealistico, ma anche contro ogni qualsivoglia forma di psicologia dialettica e filosofica, ap­paiono di natura radicalmente diversa.

Nel caso di Gentile la negazione della possibilità di una psicologia dialettica come scienza appare essere una conseguenza forse ineluttabile dell'assunto fondamentale della sua celebre ri­forma della dialettica hegeliana. Nel caso di Croce essa è resa palesemente necessaria dalla sua teoria degli pseudoconcetti.

In una eloquente pagina di uno dei capolavori di Gentile: "La teoria generale dello Spirito come atto puro" del 1916 egli sferra un duro attacco contro la psicologia in generale, che meri­ta, crediamo, di esser qui riferito in extenso.

"Questa anima - Gentile osserva - non ci dovrebbe essere bisogno di notarlo, non è l'oggetto della psicologia. La psicologia si propone di essere la scienza naturale dei fenomeni psichici e perciò si pone di fronte a tali fenomeni in quello stesso atteggiamento in cui ogni scienza della natura si pone di fronte alla classe di oggetti che prende arbitrariamente a studiare. Questo og­getto, posto così dinanzi al naturalista, allo psicologo, è un oggetto che è quello che é; e però la realtà che studia lo psicologo non richiede, per essere analizzata, che egli la riviva. Anzi egli é, o almeno crede, si propone, di essere, olimpicamente sereno dinanzi all'oggetto, termine della sua osservazione. E deve osservare il tumulto delle emozioni con quella stessa impertur­babilità che conserva il matematico dinanzi alle sue figure. Si tratta di intendersi. E qui si resta perfettamente impassibili anche per quella realtà che è per se stessa passione. Ma la passione che così lo psicologo analizza senza commuoversi è in realtà spirituale, un certo fenomeno che pur piglia posto nel mondo degli oggetti, che noi possiamo pensare; e perciò la psicologia si può fare e si vedrà in seguito a che titolo. Ma se si domanda: "Questa realtà che è innanzi alla mente che la deve analizzare, e che è quindi un presupposto di questa mente. possiamo noi considerarla come realtà spirituale?" Bisogna rispondere subito: "No. Se l'oggetto è una real­tà spirituale, e se quello che abbiamo detto della conoscenza della realtà spirituale è vero, es­sa si deve dissolvere nel soggetto, il che significa che quel che noi consideriamo come attività ideale dev'essere la nostra stessa attività; invece l'analisi dello scienziato, dello psicologo che da un punto di vista empirico o naturalistico presuppone il soggetto come altro dall'attività che analizza intende di sottrarsi a questa legge. L'antropologo che fa l'antropologia criminale non vuole divenire neanche per un momento il delinquente per risolvere così l'oggetto nel soggetto. Ebbene noi vogliamo dire che la realtà che egli studia, appunto perché psicologica in senso naturalistico, non è una realtà spirituale e cioè potrà avere quella faccia, ma nel profondo, in quel che essa è veramente, quella realtà sfugge all'analisi dello psicologo. E ogni volta che noi consideriamo qualsiasi aspetto della realtà spirituale da un punto di vista semplicemente empirico, e da psicologi empirici, noi possiamo esser certi che ci teniamo alla superficie del fatto spirituale, ne guardiamo certi caratteri estrinseci, non entriamo nel fatto spirituale come tale e non possiamo raggiungerne l'intima essenza."

Qui Gentile mostra chiaramente di non concepire la psicologia altrimenti che come mera psicologia empirica o naturalistica. Come tale essa rientra nella sfera epistemologica del co­siddetto logo astratto; in tali limiti essa è certamente in qualche modo possibile. Ma la verità del logo astratto è il logo concreto. L'autocoscienza della realtà spirituale, la cui legge, così per Gentile come per Hegel, è l'identità assoluta del soggetto e dell'oggetto e tale legge nessu­na psicologia in quanto scienza dei meri fenomeni psichici può certamente conformarsi. Ma queste argomentazioni gentiliane, se valgono palesemente nei confronti di ogni psicologia me­ramente empirico naturalistica, non sembrano tuttavia chiudere veramente la questione dell'in­trinseca possibilità di una psicologia dialettica come scienza.

Più sopra abbiamo accennato al fatto che secondo Hegel il principio dell'identità del soggetto e dell'oggetto è immanente ed operante nella stessa sfera dello spirito soggettivo. Da tale punto di vista la costruzione di una psicologia come scienza dialettica e filosofica appare dunque non solo possibile bensì necessaria.

La ragione del diverso atteggiamento di Hegel e di Gentile in proposito è senz'altro da ri­cercarsi nella tendenza fondamentale della gentiliana riforma della dialettica hegeliana.

Come è noto per Hegel la verità solo la totalità concreta, assoluta e tale totalità non è me­ra oggettiva sostanza bensì soggetto infinito, identità assoluta del soggetto e dell'oggetto. L'au­toposizione di tale identità, in una forma adeguata al suo puro concetto, tuttavia non è nulla di immediato; essa è possibile solo come integrazione, totalizzazione, Aufhebung, in una serie di totalità categoriali: Denkbestimmungen nella logica, Begriffbestimmungen nella filosofia reale, in cui tale identità è certamente immanente, ma in forma ancora inadeguata o astratta. In termini hegeliani, in sé (an sich) o virtualmente e non ancora in sé e per sé (an und fur sich) o attualmente. Una delle forme relativamente inadeguate ed astratte in cui l'identità assoluta del soggetto e dell'oggetto si esprime è appunto lo spirito libero tematizzato dalla psicologia come scienza filosofica .Quest'ultima dunque non è solo possibile bensì necessaria come momento del sistema del conoscere filosofico.

Secondo la riforma gentiliana della riforma della dialettica hegeliana, al contrario, risulta in linea di principio impossibile qualsivoglia deduzione del concreto dall'astratto, dell'attualità del pensare dall'astratta indeterminatezza dell'essere. L'astratto è soltanto astratto, molteplice, finito; il concreto non è solo hegelianamente la verità dell'astratto come sua finale integra­zione, bensì lo precede pure in senso formale e metodologico. è dunque impossibile l'autopo­sizione assoluta dell'identità del soggetto e dell'oggetto nella sfera dello spirito assoluto; è impossibile che questa identità sia preceduta da una serie necessaria di totalità categoriali in cui essa è presente solo in sé. Tale autoposizione, al contrario, proprio come voleva Fichte, è lo stesso cominciamento assoluto della deduzione filosofica. Ciò che si distingue da essa non è altro che non-io, molteplicità finita e meccanica di fatti contingenti.

Di conseguenza nella prospettiva dell'assialismo la sorte di ogni qualsivoglia psicologia dialettica appare ineluttabilmente segnata: o essa è scienza della concreta attività spirituale, e allora essa coincide con la stessa filosofia come autocoscienza dello spirito assoluto; oppure essa è scienza del soggetto finito, individuale, astratto e allora essa è di necessità scienza empirica e naturalistica, non già filosofica o dialettica.

Non diversa è la conclusione cui perviene lo storicismo assoluto di Croce, nonostante di­verso sia il punto di partenza ed assai più rozzo e semplicistico lo sviluppo delle sue argomen­tazioni; nel saggio sullo Hegel del 1906 egli sferra un attacco contro l'intero sistema hegeliano, l'ordine graduale gerachico delle cui categorie violerebbe palesemente una legge della logica formale a cui egli, per altri versi fautore di una logica che vorrebbe essere radicalmente dia­lettica, attribuisce valore assoluto: quello del terzo escluso. Ciascuna categoria del sistema he­geliano infatti, tranne l'idea o lo spirito assoluto come categoria conclusiva, è vera in quanto in essa è immanente l'identità assoluta del soggetto e dell'oggetto, è falsa invece in quanto la forma, in cui tale contenuto viene espresso, è più o meno ad essa inadeguata. Inoltre, ciascuna categoria, in quanto sintesi delle contraddizioni delle precedenti, è la loro verità ma, in quanto rispetto alle successive risulta essa stessa contraddittoria, essa è altresì falsa. Ora per Croce questa dottrina hegeliana violerebbe palesemente il principio del terzo escluso. A è o A o non-A; ogni cosa è o vera o falsa. Pressoché tutte le categorie, sia le Denkbestimmungen che le Begrieffbestimmungen hegeliane dunque sarebbero in sé contraddittorie e perciò false, meri pseudoconcetti e non già concetti puri, errori da confutare e non già contenuti di pensiero da svolgere dialetticamente. E tale ovviamente non può non essere altresì il caso della tematica peculiare della psicologia dialettica filosofica, lo spirito libero. Afferma Croce nel saggio sullo Hegel: "Nella Filosofia dello spirito Hegel sa bene che la psicologia non può servire di base alla filosofia e tuttavia la tratta dialetticamente".

Per quanto divergenti nei loro presupposti e nei risultati epistemologici, sia le dialettiche meterialistiche di Engels e Marx e quelle idealistiche di Croce e Gentile, appaiono negare pe­rentoriamente entrambe la possibiltà di qualcosa come una psicologia dialettica come scienza.

Se dovessimo prestar fede alle loro argomentazioni, non potremmo certamente che annove­rare tra i rami secchi, giusta l'espressione crociana, del sistema di Hegel la sua psicologia e giudicare, nel migliore dei casi, veramente out of day, anacronistico, o, nel peggiore, presso­ché impossibile l'intero progetto di ricerca delineato da Rossi in questo libro. Ma, in verità, tra le vittime di tale giudizio di condanna non vi sarebbe solamente Luciano Rossi, bensì pure alcuni fra i più brillanti ed influenti psicologi contemporanei, quali cito [...], ecc. le cui teorie psicologiche corroborate da una vasta massa di lavoro sperimentale (experimental work) ap­paiono concordemente confermare l'idea hegeliana che la stessa sfera dello spirito finito rimar­rebbe in definitiva inesplicabile qualora si negasse l'immanenza, in essa, dell'attività teleolo­gica, logico-inferenziale, olistica e dinamica del Concetto.

Come acutamente osserva Errol Harris in due capolavori dell'odierna filosofia e metodolo­gia delle scienze quali The Foundations of metaphysics in Science del 1965 e [...] del 1970.

Lo stesso sviluppo storico delle scienze positive contemporanee in generale, e in particolare della psicologia, rende di fatto ormai obsoleto qualsivoglia tentativo di contrapporre rigida­mente il loro ideale epistemologico a quello delle filosofie idealistiche dialettiche di ascen­denza più o meno esplicitamente hegeliana.

La celebre negazione hegeliana dell'immediatezza della certezza sensibile, con cui si apre, come è noto, l'itinerario spirituale della coscienza descritto nella Fenomenologia dello spiri­to, ad esempio appare brillantemente confermato dalle ricerche psicologiche sperimentali dal [...] per il quale in definitiva ogni percezione è un giudizio, ossia implica di necessità l'attivi­tà mediatrice del pensiero.

Come pure (traduco da Foundation) dal lavoro sperimentale di [...], il quale stabilì il fatto che il più semplice caso possibile di coscienza sensibile è sempre un campo [...] organizzato e che nulla di meno accade mai nella coscienza. Contrariamente alle tradizionali concezioni em­piristiche e naturalistiche della percezione sensibile, dunque essa non è in realtà mai l'intui­zione isolata di un mero dato fatto atomico, bensì il contenuto percepito, e sempre inscindibile, e dunque mediato da uno sfondo, da una totalità più o meno esplicitamente consaputa, che ne determina olisticamente l'intero svolgimento.

Un'ulteriore forma di mediazione della presunta immediatezza della percezione sensibile è stata indicata da Bluner e Postman nell'influsso esercitato dall'esperienza acquisita sulla costi­tuzione del contenuto percettivo dato; in altri termini dalla peculiare configurazione della di­mensione temporale e storica del soggetto esperiente, la quale ovviamente non é, e non dev'es­sere, intesa alla maniera di Hume come mera accumulazione di impressioni semplici prive di necessarie connessioni ed interna differenziazione, bensì come la progressiva integrazione e rettificazione di una serie di schemi o strutture percettive per lo meno virtualmente a priori.

La conclusione desunta da E. Harris, da un accurato, e sempre illuminante, esame critico dei risultati di tali ricerche scientifico-sperimentali, è che non solo l'idea hegeliana di una psico­logia dialettica, bensì pure l'intero progetto hegeliano di una Naturphilosophy, fondata sull'ap­propriazione ed elaborazione speculativa dell'acquisizione teoreticamente più significativa delle scienze positive, lungi dall'essere anacronistico o addirittura fuorviato, come invece rite­nevano sia Croce che Gentile, costituisce a tutt'oggi un ideale di ricerca valido e praticabile.

Anzi oggi forse ancor più che nella stessa età di Hegel giacché la scienza del '900 appare aver messo definitivamente in crisi quel modello scientifico newtoniano-kantiano che, per il suo carattere rigidamente deterministico, meccanicistico ed atomistico, più ripugnava, nel XIX secolo, ad ogni tentativo di interpretazione ed appropriazione dei risultati delle scienze da parte della filosofia dialettica e speculativa.

Il progetto di ricerca di Rossi dunque appare inserirsi in un'assai più ampia ed articolata tendenza della riflessione scientifica e filosofica dell'età contemporanea. In rapporto ad essa sono certamente le posizione di Marx e di Engels, di Croce e di Gentile ad apparire ormai out of day. Lo spirito del tempo sembra esigere integrazione e collaborazione fra riflessione scien­tifica e speculazione filosofica piuttosto che qualsivoglia forma di dualistico antagonismo o contrapposizione comunque giustificata o argomentata.

Ma è altresì innegabile che non è certamente con l'appello, sempre tendenzialmente posi­tivistico o storicistico, alle tendenze predominanti in una particolare situazione storico-cultu­rale che si può adeguatamente replicare alle obiezioni teoriche sollevate contro la stessa pos­sibilità di principio di una psicologia dialettica come scienza.

Secondo la celebre osservazione di Kant, una cosa è la quaestio juris della possibilità di una scienza e un'altra è la quaestio acti. Ritengo perciò opportuno concludere queste mie considerazioni sul libro di Rossi l'intrinseca inconsistenza in proposito sia del punto di vista materialistico di Marx ed Engels che di quello idealistico di Croce e Gentile.

L'idea di una psicologia dialettica esige palesemente riconoscimento:

a) della realtà della coscienza

b) della sua individuazione, per quanto dialetticamente provvisoria, in un soggetto indivi­duale finito

c) dell'immanenza in esso quanto a causa efficiens e causa finalis dell'idea della realtà, dell'identità assoluta del soggetto e dell'oggetto

Ogni coerente materialismo non può ovviamente che negare sia il primo che il terzo di tali assunti; e il secondo, come abbiamo altresì visto, non può che riscuotere un interesse del tutto marginale in una concezione dell'essenza umana quale quella di Marx per cui essa si risolve senza residuo nella successione storico-temporale dei rapporti economico-materiali di produ­zione della vita sociale.

Ma, in realtà, l'assunto realistico di una realtà naturale o anche storica, che sussiste prima e indipendentemente dall'attività della coscienza, sia essa individuale o universale, che la rap­presenta, è insuperabilmente contraddittoria e, perciò, insostenibile. La coscienza, ogni qual­sivoglia coscienza, é, in sé e per sé, intrascendibile. Io posso esser consapevole di qualche cosa di diverso da me se, e solo se, esso è in me come mia rappresentazione. Il criterio di veri­tà di tale rappresentazione non può esser certamente riposto nella sua impossibile, anzi assurda, corrispondenza con uno stato di cose esteriore, bensì nella sua intrinseca evidenza immanente nell'interna coerenza e complessità del suo contenuto logico essenziale.

L'assoluta realtà della coscienza è dunque l'incondizionata condizione di ogni possibile og­gettivazione. La sua riduzione marxiana mero riflesso e sovrastruttura di una fatticità materiale extra-mentale è perciò illegittima ed inconsistente. L'autocoscienza dunque è reale e, come ta­le, essa è processo, negazione del suo esserci immediato, il quale, per esser negato, dev'esser tuttavia anche inizialmente posto. Lo sviluppo immanente del processo di negazione e di inte­grazione della sua coscienza immediata e finita, e dunque singolare, formale, nella più concreta totalità dello spirito assoluto, costituisce, come tale, l'oggetto specifico della psicologia dia­lettica come scienza.

Veniamo ora all'obiezione di Croce. Essa in verità concerne non tanto, e non solo, la tratta­zione hegheliana della psicologia in quanto scienza dello spirito libero, bensì l'intera articola­zione del sistema hegeliano: l'idea cioè che la verità sia un contenuto assoluto che si manifesta in una successione graduale di forme sempre meno inadeguate alla sua essenza. Come si è detto, l'appello di Croce è al principio del terzo escluso: A è A o Non-A. La Begriffbestim­mung dello spirito libero è o vera o falsa.

La completa assurdità, possiamo dire, di tale obiezione crociana, il suo carattere palese­mente self-rifiuting è palese ove si ponga mente al fatto che la sua filosofia dello spirito con­templa, quale proprio metodo essenziale, anche una dialettica degli opposti e che è semplice­mente impensabile qualsiasi forma di logica dialettica ove si affermi la verità del principio del tertium non datur. In ogni qualsivoglia forma determinata di sintesi dialettica gli opposti che essa toglie in se stessa infatti sono nel contempo: a) negati, b) conservati.

Al primo livello dunque avremo: a) la sintesi dialettica non è né A né non-A.

Al secondo livello, in relazione cioè ad opposti, la forma della cui mediatezza sia steta in­fine trascesa, avremo invece: A è sia A che non-A.

In nessun caso dunque risulta legittimo asserire: A è o A o non-A; giacché se A fosse solo A o solo non-A, A, con ogni evidenza, non sarebbe in verità che una mera tesi, ossia un'affer­mazione immediata, unilaterale, e non già, come invece dovrebbe, una sintesi, ossia una totali­tà logica tendenzialmente onnicomprensiva.

L'obiezione di Croce appare in verità generata solo dalla sua palese inettitudine a compren­dere veramente la logica immanente del pensiero dialettico.

Assai più profonda, anche se non più convincente, appare invece la obiezione di Gentile: la verità, la realtà, è il concreto, l'identità assoluta del soggetto e dell'oggetto come tale; se ap­punto la verità è ciò, essa non può costituire solo la conclusione, bensì pure l'assoluto co­minciamento della riduzione dialettica. Cercasi distinguere dal concreto assoluto, dall'atto puro dello spirito assoluto, dal non trascendentale; non è perciò che mera parvenza la molteplicità meccanica e finita dei fatti; e tale, come abbiamo visto, è per Gentile pure il caso del soggetto individuale finito delle teorie psicologiche.

Ma, anche per Gentile non meno che per Hegel, lo spirito è essenzialmente processo auto­costruttivo, divenire, sviluppo evolutivo. Ora, come è possibile concepire coerentemente un processo evolutivo in quel cominciamento che non si distingue, in quanto più astratto, in quanto meramente ideale, dal suo risultato che ne costituisce per contro la piena realizzazione? Lo stesso atto puro dello spirito, il suo ideale cominciamento, è perciò ancora in qualche modo di necessità astratto.

Non solo dunque l'atto dello spirito, il mondo naturalistico e meccanico dei fatti, bensì pure la sua stessa attualità, per lo meno nelle fasi iniziali del suo sviluppo, non è già pura concre­tezza, bensì sintesi, mediazione di concreto e astratto. Ora, tale immediata astrattezza dello spirito, con ogni evidenza, non è né può essere altro che quella finitezza formale che come si ricorderà, secondo Hegel caratterizza l'intima essenza dello spirito soggettivo.

L'attualità assoluta dello spirito come identità di soggetto e oggetto, dunque, non esclude, anzi esige, che si possa e si debba distinguere da essa una sfera in cui il suo contenuto assoluto viene espresso in una forma ancora finita.

E tale espressione del contenuto assoluto dello spirito in una forma soggettiva e finita costituisce appunto la tematica specifica della psicologia dialettica, la cui intrinseca possibilità viene così affermativamente dimostrata dalla realtà, per quanto relativa, del suo peculiare oggetto.

 

 

 


Home | Presentazione | Storia del Centro | Il pensiero | Trasformazione | Letture

Pubblicazioni | I corsi | Links | Articoli | Proprietà | La pagina letteraria  

Copyright 2003 - Centro internazionale di Psicodialettica - All Rights Reserved

Per contattarci scrivete a: luciano.rossi38@alice.it