|
I quindici passi
di Luciano Rossi
Il primo viaggio
1 - All’inizio nell’animo del viandante tutto è oscuro, confuso,
indifferenziato. Il primo stadio vede la sua confusa confessione: egli
conosce le cose alla rinfusa, non è ancora in grado di far risalire la
sua sofferenza a un conflitto o di vedere quali sono le forze schierate
sul campo di battaglia. E racconta. Racconta alla sua guida, come può. La
guida ascolta, silenziosa. Porgerà ascolto facendo attenzione agli
elementi dialettici: i desideri e i bisogni del viandante, gli ostacoli
che incontra nel mondo, le reazioni che il viandante stesso mette in atto
in risposta agli ostacoli incontrati.
2 - Il racconto del viandante prosegue. Pian piano la guida porgerà la
prime brevi e caute domande, le prime osservazioni. Tu in realtà in
questo evento cosa desideravi? Ti era chiaro il tuo bisogno? E come ti sei
sentito quando è accaduto questo? Così pian piano anche il viandante
comincerà a fare più attenzione ai suoi desideri e a che cosa scateni le
sue reazioni automatiche e sempre uguali. Il secondo passo è dunque una
presa d’atto dei motivi del suo pretendere (sconfitto, sofferente o
rabbioso), ossia del conflitto fondamentale e dei contendenti sul campo di
battaglia (i desideri e il mondo). È il momento dell’intervista
strutturata (CCRT) finalizzata a disidentificarsi da W, RO interno ed RS
3 - Il terzo passo prevede che siano ormai chiariti gli elementi del suo
copione fondamentale e che il soggetto impari (si alleni) ad attenderli al
varco, ad osservarli in un modo particolare: concentrato, distaccato,
empatico, annotante, equanime. In altre parole, osservare, come si usa
nella meditazione di consapevolezza, la viscosità del nostro ripetere (in
modo automatico) sempre la stessa reazione e del nostro provare sempre gli
stessi desideri. La prima disidentificazione è dunque la seguente: io
non sono i miei desideri W, i miei RO interni che non soddisfano i miei
desideri, le mie reazioni RS.
4 - L’osservazione prosegue. Non basterà vedere. Occorrerà restare in
osservazione anziché reagire. Nel quarto passo abbiamo l'elaborazione di
ciò che ci porta l’osservazione incessante dei pensieri e delle
emozioni. L’elaborazione è il lungo tempo che intercorre fra l’aver
capito il proprio cliché e l’averlo cambiato. Elaborare significa
cambiare le proprie reazioni. Togliere gli automatismi della reazione e
sostituirli con i comportamenti consapevoli dell’azione volontaria.
Questo momento è stato chiamato in generale integrazione: si tratta di
un’accettazione della presenza, così com’è, di W, RO interno,
RS. Si tollera con pazienza che continuino ad esserci e si continua ad
osservarli, a disidentificarsi, ad osservarli senza reagire
automaticamente. D'ora in poi si deve agire per scelta, non in modo
automatico.
5 - Nel quinto passo si ha la stabilizzazione dell’osservazione dei
desideri e delle risposte del mondo, come pratica permanente. La ripetuta
rinuncia alla reazione automatica, e la sostituzione della stessa col
nuovo modo d’essere, non finirà con la quinta fase, ma proseguirà
tacitamente anche quando il viandante, impegnato in attività successive,
proseguirà il suo cammino. Capiterà ancora di cadere in comportamenti
automatici, anche quando il cammino sarà molto avanzato; allora si dovrà
tornare indietro, eterni principianti, ai primi giorni di scuola, ripetere
le nostra indagine e rinforzare la nostra osservazione.
Il secondo viaggio
6 - Col sesto passo inizia il secondo viaggio animato da altro scopo, da
altro obbiettivo. Qui si dovrà riconoscere la simbiosi con la propria
matrice, simbiosi di cui non siamo consapevoli. Vi è spesso, a questo
stadio, la mancata visione di un legame genitoriale imprigionante e
divorante. Il figlio dimora pressa la casa d’origine, se non
fisicamente, almeno come dipendenza, che può essere talvolta materiale, e
talvolta emotiva.
7 - Sarà qualche domanda della guida, qualche osservazione, a segnalare
questa simbiosi. Si attenderà con pazienza la visione e presa d’atto
della propria dipendenza. La decisione di separarsi, di partire,
staccarsi, diventare autonomo, sperimentare la solitudine, arriveranno
molto lentamente. Per ora si tratta di vedere che le cose stanno così e
che il soggetto esita e teme. Si tratta ancora di indagare sulla difficoltà
di questo passo, sulla persistenza del legame. Si segnalerà al cliente un
aspetto importante: che si parte per tornare, che si parte con amore. Si
danno due casi nel figlio: desiderio di restare, desiderio di andare. Il
genitore restio a lasciar andare il figlio nel primo caso collude, nel
secondo caso ostacola. Andare per il figlio significa differenziarsi dal
genitore interno e staccarsi dal genitore esterno.
8 - L’ottavo passo inizia quando si è presa una qualche distanza dai
genitori e li si può osservare da fuori, da lontano. È dedicato
all’osservazione della nostra dipendenza dai genitori in condizione di
distacco e parità (confronto col padre, confronto con la madre). In
questo colloquio verrà pronunciato quel “ci sono anch’io” che
afferma il figlio come esistente, come identità autonoma, intelligente,
volitiva, capace. In questo colloquio ci sarà un chiaro “continuo ad
amarti, anche se me ne vado” e un altrettanto sincero proposito “ora
vado, ma tornerò”. È il
momento dell’immaginazione attiva, del confronto col genitore mitico,
con la matrice profonda. La disidentificazione n°2 è: io non sono i
miei genitori interni, che non mi lasciano essere individuo autonomo.
Notare che i genitori sono presenti sia alla fase 3 che alla fase 8, ma
con diverse funzioni: al tre non soddisfano W, all'8 cercano di perpetuare
la simbiosi.
9 - Il riconoscimento delle buone qualità del padre e della madre è sempre
più chiaro, nonostante la realistica conoscenza dei loro difetti, e
sempre più facile appare il perdono (anche se non sempre esso è anche un
condono) che il figlio è disponibile a concedere. Il figlio prende atto
della natura anagrafica dei genitori al fine di scardinarne la visione
mitica che fatalmente esiste nella prima infanzia e che il figlio porta
ancora con sé. I genitori non sono divinità potenti e onniscienti, sono
esseri umani con le stesse difficoltà del figlio. Sono stati figli a loro
volta. Questo è l’atteggiamento che consente, dopo il tempo della
lontananza, il periodico ritorno a casa.
10 - È ovvio che in questo modo viene riconosciuta dal soggetto anche la
buona qualità di sé come figlio, e la buona qualità e desiderabilità
della coniunctio con i genitori, della riconciliazione con loro. Il
ritorno è possibile e deve effettuarsi. Il figlio, tornato, si è
ricongiunto con i genitori e con i loro difetti e qualità. Ma dal quinto
passo gli resta, a suo attivo, anche il riconoscimento dei suoi desideri,
dei suoi difetti, delle sue emozioni, buone e cattive. E porta con sé
pure la ricongiunzione col mondo, con i suoi oggetti, gli eventi, i beni,
le sofferenze. Cosa resta da fare? È possibile fare qualcos’altro?
Il terzo viaggio
11 – L'aver preso consapevolezza dapprima dell’io come centro di
consapevolezza e volontà... l'aver
poi preso, questo io spettatore, contatto (nella fare tre) con i bisogni, i desideri, le reazioni,
poi (nella fase otto) con i genitori interni non è ancora
sufficiente. La sofferenza può essere dietro l’angolo. Siamo attaccati
al nostro corpo, ai nostri beni. Abbiamo avversione per l’infinità di
ostacoli che l’esistenza ci fa incontrare. Siamo identificati con i beni
e i possessi: non possiamo perderli senza sentire di perdere noi stessi.
Desideriamo la permanenza delle sensazioni e delle emozioni belle e
l’allontanamento delle brutte. Ci siamo detti: io purtroppo sono anche
W, Ro interno, RS; io purtroppo sono anche i genitori mitici. Ora dobbiamo
dirci: io purtroppo sono ancora identificato con sensazioni, pensieri,
emozioni... corpo, mente.
12 - C’è un fiume di
pensieri, di sensazioni, di emozioni, di eventi che ci fan vivere col
tumulto del corpo, del cuore e della mente. C’è il fiume delle paure:
possiamo perdere ciò che di bello abbiamo. C’è il fiume della rabbie:
non riusciamo a scrollarci di dosso chi ci opprime, ci frustra. Ci
troviamo dentro il fiume. Una soluzione c’è: uscirne, andarsi a sedere
sulla riva, differenziarsi dal fiume.
13 – Uscire dal fiume degli attaccamenti, delle avversioni. Come
fare? Occorre seguire un metodo graduale: cominciare a distaccarsi dalle
cose più semplici, e gradualmente affrontare compiti maggiori. Prima ci
togliamo dal fiume dei respiri, poi delle sensazioni, dei pensieri, delle
emozioni, ecc. Ci togliamo
dalla corrente e ci sediamo sulla riva a osservarla in un certo modo
potremo disidentificarci da lei. Di nuovo si tratta di osservare, come
abbiamo fatto nel terzo e nell’ottavo passo. Disidentificazione n°3: io
non sono il mio respiro, il
mio corpo, le mie sensazioni, il miei pensieri
14 – Tutto quello che passa sul fiume lo lasciamo arrivare, lo
lasciamo essere, lo lasciamo andare. Noi siamo diversi da lui, distanti da
lui. Registriamo il suo esser così e basta. Con equanimità, distacco,
empatia, disidentità, semplicità, annotazione, innocenza.
15 – Si forma così la consapevolezza di un non-io impermanente,
separato dall’io spettatore e osservatore. Un non-io che è né
desiderato né indesiderato, ma che è così com’è. La sua
presenza, o assenza, è la presenza o l’assenza di un disidentico, a cui
non siamo né attaccati né avversi. La condizione finale dell’io (coscienza finale) è quella
del testimone che lascia essere la realtà così com’è. Qui il
disidentico viene lasciato essere così com’è. Questa è la
integrazione nel terzo viaggio: lasciar vivere, accanto a noi, desideri e
avversioni senza aderirvi. In fondo anche RS e genitori mitici venivano
lasciati essere. Disidentificazione in Psicodialettica è anche vicinanza
e accettazione che il disidentico ci sia, è dire: le cose stanno così,
ma io le guardo e basta.
|
|