TEMI DI PSICODIALETTICA a cura del Centro internazionale di Psicodialettica Caposcuola e fondatore: Prof. Luciano Rossi Responsabile del Centro: Dott.ssa Lisa Marchetta
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Jung, cap. 5. Il modello strutturale, topico, funzionale |
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Jung, cap. 5 - Il modello strutturale, topico, funzionale.
Voci
di dizionario a cura di Luciano Rossi Archetipi. Analoghi alle Idee platoniche o alle categorie a priori kantiane, gli arche-tipi junghiani sono tipi arcaici o primigeni, immagini universali presenti nell'uomo fin dai tempi più remoti. Immagini primordiali, dominanti, disposizioni ereditarie, programmi, capaci di costellare l'esperienza secondo schemi innati. Conosciamo gli archetipi dai miti; e ne riscontriamo la presenza nelle fantasie degli psicotici. Essendo gli archetipi meno presenti o meno chiari nelle fantasie nevrotiche, Freud e Adler non ebbero la stessa possibilità empirica di osservarli frequentemente come Jung ebbe al Burgholzi. Si tratta di "forme tipiche dei modi di pensare e di agire dell'uomo, e quindi una possibilità innata di rappresentazione che in quanto tale presiede all'attività immaginativa" (Pieri, 1998, p. 62). "Il termine è tratto dalla filosofia, dove ricorre per indicare il modello, l'esemplare originario o, semplicemente, l'originale di una serie qualsiasi ... Jung ammette di aver tratto il termine da Platone, che «per primo pose in un luogo celeste le idee di tutte le cose, ovvero quei modelli originari o Urbilden » considerati più reali delle cose stesse" (Pieri, 1998, p. 62). " Nella topologia psichica, gli archetipi sono posti da Jung nell'inconscio collettivo ... Ovverosia, connessa all'ipotesi degli archetipi è l'altra ipotesi della presenza nella psiche umana di un «inconscio collettivo» che ne sarebbe il depositario " (Pieri, 1998, p. 62). Si può evidenziare qui "quanto sia presente in Jung un'aspirazione di tipo olistico e onnicomprensivo, che lo porta verso la costruzione di una psychologia perennis, ... una psicologia sine tempore" (Pieri, 1998, p. 63). Egli annuncia perciò "la presenza nella psiche umana di « immagini » e « disposizioni alle immagini » che hanno un carattere immutabile, universale e imperituro" (Pieri, 1998, p. 63). Natura "archetipica" d'ogni complesso. La nozione d'archetipo si lega alla nozione di complesso. Questo termine (vedi più avanti) fu coniato da Jung (e assieme da Bleuler, suo primo Maestro) e divenne poi di uso comune in psicoanalisi. Jung aveva scoperto la "teoria dei complessi" attraverso gli "esperimenti sulle associazioni", ma era arrivato poi a formulare l'ipotesi della natura "archetipica" d'ogni complesso. In questa teoria " non si nega però la formazione del complesso anche attraverso l'esperienza concreta e l'impatto problematico dell'individuo con gli altri individui - soprattutto nella prima infanzia - ma tale formazione si configura come dovuta all'attività di un a priori archetipico " ( Pieri, 1998, p. 63).
Complessi.
Un
complesso è una subpersonalità, ossia una personalità, parziale sì, ma autonoma
e indipendente, costituita da un nucleo (tipicamente un archetipo),
metaforicamente carico e capace di attrarre elementi, e da elementi da lui
già attratti e a lui legati con un forza costellante in un'associazione
che possiamo, per analogia con le stelle, chiamare costellazione. Al
centro
della
costellazione c'è un nucleo
carico dotato di potere attrattivo. Alla periferia
possiamo
immaginare gli elementi
associati o legati al nucleo da forze
di attrazione.
Denominato
da Jung come "complesso a tonalità affettiva", esso indica per lui
"una struttura psichica minimale dotata di forte carica, per
l'appunto, affettiva, che lega tra loro rappresentazioni, pensieri e
ricordi"
(Pieri, 1998, p. 139)
.
Ogni complesso è una
personalità con convinzioni rigide, ripetitive e viscose su un settore
specifico. Ma
,
essendo parziale,
si può definirl
a
subpersonalità.
Subpersonalità.
Non si può parlare nell'uomo
di una sola personalità, bensì
dobbiamo pensare all'esistenza di varie personalità. È solo la maggiore
permanenza di una subpersonalità
rispetto alle altre, a dare
l'idea di una personalità unica ordinaria e permanente. Gli elementi
psichici che danno luogo a subpersonalità non si agglutinano a caso, ma
si organizzano attorno ad un attrattore (un nucleo con proprietà
costellanti) formando un complesso, che nel caso della subpersonalità è
particolarmente completo e articolato. Giova precisare che mentre ogni
subpersonalità è un complesso, non ogni complesso è una subpersonalità.
Il piccolo popolo. Jung chiamò la propria teoria, oltre che psicologia analitica, anche psicologia complessa e anche psicologia dei complessi. La teoria dei complessi è infatti importante nella sua visione, perché per Jung sono complessi tutte le seguenti strutture: l'io, l'es, il superego, l'anima, l'ombra, la persona, il sé. Mentre i primi tre sono stati collocati graficamente nel secondo schema topico freudiano, l'io e gli ultimi quattro figurano in varie topiche junghiane. Jung chiamò tutte queste subpersonalità col nome di "piccolo popolo". Facciamo un piccolo esempio grafico (non dovuto a Jung, ma allo scrivente): una costellazione d'elementi esagonali costellata attorno all'archetipo dell'esagono , che è rappresentato come un vuoto centrale in quanto non è un affetto concreto, ma è appunto un'idea . Gli affetti concreti sono gli esagoni gialli.
Archetipo dell'esagono. Immaginiamo il concetto formale di esagono. Attratti dall'idea d'esagono possono raggrupparsi attorno a lei esagoni reali a formare una costellazione esagonale regolare. La figura che vedete dovete pensarla come costituita non da sette oggetti concreti, ma da sei oggetti esagonali, contenitori o scatole vuote, disposti attorno ad un vuoto di forma esagonale, che rappresenta l'idea di esagono. Un'idea di esagono attira esagoni concreti, recettori, siti da riempire con elementi esagonali solidi, contenitori esagonali che attirano contenuti esagonali. Abbiamo scelto l'esagono perché solo l'esagono si presta graficamente a questa completezza e chiusura radiale, in quanto è l'unico poligono con angoli ai vertici tutti uguali a un terzo di angolo giro. In questo senso possiamo considerarlo un archetipo naturale.
L'Io.
La dottrina dell'Io segna una grande differenza fra Freud e Jung.
In Jung l'io è conscio, in Freud è in parte inconscio. L'Io è due cose
per Jung, un io conflittuale e un io mediatore fra se stesso e
l'oppositore. Così abbiamo:
a)
Io come insieme di rappresentazioni consce che stanno al centro della
coscienza e al contempo ne rappresentano la totalità; a questo Io, a
queste rappresentazioni consce, si contrappone l'Ombra, il Non-Io,
l'Alter-Ego, b)
Io come funzione mediatrice fra Io e Ombra, fra coscienza e inconscio, fra
individuale e collettivo.
Persona.
"
Termine latino indicante la maschera che l'attore teatrale, sia comico che
tragico, appoggiava al proprio volto nel corso della recitazione. Lo
stesso termine latino ricorre nel testo junghiano per designare
indifferentemente: ... c) l'immagine che l'individuo mostra
all'esterno, e in quanto tale uno degli aspetti più esteriori
dell'individuo stesso; d) il ruolo o lo «status
sociale» dell'individuo nelle relazioni con il mondo
...; e) l'adattamento dell'individuo a ciò che è
collettivo, e cioè l'atteggiamento che l'individuo mostra in risposta
agli altri e alle situazioni date, per adattarsi all'ambiente e agire in
esso; f) l'individuo definito attraverso i rapporti che
intrattiene con gli altri, e quindi l'individuo nella sua, per così dire,
«visibilità» agli altri; g)
l'insieme degli atteggiamenti convenzionali
dell'individuo in quanto appartenente a una tradizione, per cui si
evidenzia nei differenti pregiudizi che l'individuo manifesta rispetto
agli altri, colti, a loro volta, come appartenenti ad altre tradizioni; h)
l'involucro delle modalità espressive, dei sentimenti e dei pensieri di
cui l'individuo è rivestito ..." (Pieri, 1998, p. 536-537).
Jung afferma: la Persona è "maschera che simula [soltanto]
l'individualità, che fa credere agli altri che chi la porta sia
individuale (ed egli stesso vi crede), mentre non si tratta che di una
parte rappresentata in teatro nella quale parla la psiche collettiva"
(Pieri, 1998, p. 538).
Anima.
L'atteggiamento
che la coscienza assume nei riguardi dell'inconscio, e più in generale
l'atteggiamento che il soggetto assume nei riguardi del proprio mondo
interiore e della propria vita privata, che è tecnicamente chiamato «atteggiamento
interiore»
" (Pieri, 1998, p. 48).
Uno "specifico
complesso funzionale della psiche, dunque, che mette in relazione la
coscienza con l'inconscio
...
In questo senso l'anima è intesa in relazione complementare con ciò che
è tecnicamente chiamato
«atteggiamento esteriore»
o Persona: e cioè con l'atteggiamento che, viceversa, l'individuo assume
abitualmente rispetto al mondo esterno e alla sua vita pubblica
"
(Pieri,
1998, p. 49).
Ombra.
Altro
lato della personalità, e perciò quella parte oscura della psiche, in
quanto tale inferiore e indifferenziata, cui, in vario modo, è
necessariamente rinviata (e operativamente rinviabile) la parte superiore
e differenziata della psiche stessa durante il processo di individuazione
(Pieri, 1998, p. 487).
L'ombra rappresenta
solo qualcosa di inferiore, primitivo, inadatto e goffo e non è male in
senso assoluto. Essa comprende fra l'altro delle qualità inferiori,
infantili e primitive, che in un certo senso renderebbero l'esistenza
umana più vivace e più bella; ma urtano contro regole consacrate dalla
tradizione" (Jung, 1938/1940, pp. 82-84, da
Pieri, 1998, p. 487-488).
"Pertanto,
e più in generale, il termine indica un'unità complessa dotata di una
vitalità autonoma che è fondamentalmente il negativo di ciascun
individuo, che l'uomo stesso può soltanto percepire sentimentalmente e
intuitivamente; e perciò può farne esperienza
"
(Pieri, 1998, p. 488).
Le funzioni fondamentali.
Per
la specifica teorizzazione delle funzioni fondamentali, è supposta una
costante e inevitabile relazione tra le attività percettive (sensazione e
intuizione) e quelle astrattive (sentimento e pensiero). Poiché
l'immaginare è inteso come una forma aspecifica delle attività psichiche
fondamentali, viene rilevato come l'immaginazione non possa che trovarsi
intrecciata con una delle funzioni fondamentali.
Il Pensiero.
L'attività
intellettuale "distinta, da un lato, dall'attività
pratica, e dall'altro dalla sensazione, dall'intuizione e dal sentimento.
In quanto tale, il termine indica convenzionalmente ... una
delle quattro funzioni della psiche ... funzione
attraverso la quale la coscienza si correla sia al mondo esterno che al
mondo interno (Pieri, 1998, p. 518) e quindi anche all'inconscio, all'Anima, alla Persona,
all'Ombra, al Sé.
Il Sentimento.
Il
sentire è considerato una delle quattro funzioni fondamentali con cui la
psiche entra in relazione con il mondo. Proprio perché è inteso come un
processo discriminativo e valutativo, e quindi produttivo di un giudizio
su qualcosa, il sentire è classificato insieme al pensare. Con il
pensare, esso costituisce infatti l'asse della coppia delle funzioni
psichiche razionali che è intersecato dall'altro asse della coppia delle
funzioni psichiche irrazionali, quali sono quelle del percepire e
dell'intuire
... Distinguendosi nettamente dalle altre funzioni, seppure rimanendovi in
vario modo collegata, la funzione del sentire si sviluppa e viene a
costituire un individuo che nella sua relazione con gli oggetti si
orienta, per l'appunto, attraverso di essa, e in questo caso si parlerà
di quell'individuo come di un tipo di sentimento. A seconda che egli sia
mosso da un atteggiamento privilegiante la relazione con gli oggetti
interni o con quelli esterni, se ne parlerà come di un tipo introverso
con funzione sentimento o di un tipo estroverso con funzione sentimento
(Pieri, 1998, p. 669).
L'Intuizione.
È "una
delle quattro funzioni psichiche fondamentali, insieme al pensiero, al
sentimento e alla sensazione. Con questo termine viene specificamente
indicata la percezione inconscia attraverso la quale vengono
contemporaneamente in evidenza i contenuti subliminali del soggetto e la
cosiddetta «essenza» dell'oggetto ...
In questo senso un'eventuale qualità intuitiva assegnata alla conoscenza
la rende indiscutibile e quindi, se si vuole, primitiva o divina ...
In questo senso l'intuizione, seppure non permetta di distinguere mai tra
ciò che è reale e ciò che è irreale, è intesa come la funzione
psichica che ci insegna a vedere le cose, e quindi gli oggetti che poi
(per un'altra via o per altri organi psichici) risulteranno o reali o
irreali. Compito generale dell'intuizione è «trasmettere le
percezioni per via inconscia» (Pieri, 1998, p. 387).
Dice Jung: "L'intuizione è, come la sensazione, una
caratteristica della psicologia infantile e primitiva. Essa fornisce al
bambino e al primitivo, di contro al forte risalto posseduto dalle
impressioni sensoriali, la percezione delle immagini mitologiche, stadi
preliminari delle idee (...) L'intuizione si comporta nei riguardi della
sensazione in senso compensatorio ed è, al pari di questa, la matrice da
cui prende le mosse lo sviluppo del pensare e del sentire come funzioni
razionali. L'intuizione è una funzione irrazionale, quantunque molte
intuizioni possano in seguito essere scomposte nelle loro componenti così
che anche il loro prodursi può essere messo d'accordo con le leggi della
ragione" (Jung,
1921, pp. 466 e segg., o anche in Pieri, 1998, p. 388).
La Sensazione.
Per
quanto riguarda la dinamica della psiche, la sensazione è intesa come una
delle fondamentali funzioni. Per quanto riguarda invece la tipologia
psicologica, viene costituita una classificazione secondo la quale sono
individuati soggetti che vengono detti tipi sensoriali perché nei loro
rapporti col mondo esterno e interno privilegiano, rispetto alle altre
funzioni psichiche, quella della sensazione
(Pieri, 1998, p. 664).
Sensazione e intuizione rappresentano per Jung una coppia di opposti
ovvero due funzioni che si compensano a vicenda come il pensiero e il
sentimento.
Tipi psicologici.
Jung propone una teoria capace di integrare i complessi che si attivano nel settore della sessualità
(campo di Freud) e quelli
che si organizzano nel campo del potere (Adler). Esempi dell'uno e
dell'altro: complesso di Edipo e complesso d'inferiorità. Entrambi i pensatori
isolano famiglie di complessi, ma le innalzano a principio esplicativo di
tutta la psiche. È come se ogni autore avesse un daimon che lo porta a
vedere la vita da una prospettiva o dall'altra. Jung nel 1913 espose una
teoria dei Tipi psicologici come espediente interpretativo delle
differenze insorte fra Adler e Freud. In quella sede annunciò la
legittimità, sia dell'interpretazione della vita psichica proposta da
Freud, sia di quella proposta da Adler. La differenza fra le due dipendeva
unicamente, secondo il Jung del 1913, dal fatto che Freud e Adler erano
due tipi psicologici diversi.
La coscienza.
"La
coscienza
individuale è solo il fiore o il frutto di una stagione, germogliato dal
perenne rizoma sotterraneo, e che armonizzerebbe meglio con la verità se
tenesse conto dell'esistenza del rizoma, giacché l'intreccio delle radici
è la madre di ogni cosa"
(Jung, 1912, Opere, vol. 5, p. 13).
Centratura della coscienza.
L’area della coscienza è abitata da contenuti
transitori e mutevoli: immaginazioni, pensieri, impulsi,
desideri, intuizioni, emozioni, sentimenti, sensazioni, volizioni.
Nell’uomo comune essi sono disordinati e in conflitto l’uno con
l’altro. L’uomo comune spesso s'identifica con questi contenuti.
Il
costituirsi di un centro (Io) che “contiene”, osserva, coordina e
dirige tali contenuti, porta ad un’armonizzazione di queste funzioni,
tutte necessarie ad una personalità unitaria e completa. Questo centro
non è transitorio come gli altri contenuti di coscienza. È invece
stabile e fermo, e dà al suo portatore, una volta divenuto consapevole di
essere centrato, il senso della sua identità d'individuo. Lo stesso
discorso relativo ai contenuti di coscienza può farsi anche per le
subpersonalità e per i complessi (che sono inconsci). Il centro può
disidentificarsi dai singoli contenuti. Può togliersi quando vuole da uno
stato di identificazione coatta e, allo stesso modo, decidere, quando
vuole, di identificarsi, momentaneamente e liberamente, di nuovo con essi.
Possiamo chiamare il processo di centratura anche con i nomi di processo
di individuazione, autorealizzazione, realizzazione del Sé.
Inconscio personale.
Jung usa il termine "inconscio" come aggettivo per significare qualcosa di escluso
dalla coscienza e come sostantivo per indicare un luogo della psiche.
Distingue due livelli d'inconscio: quello personale e quello collettivo.
Quello personale è il ricettacolo dei contenuti espulsi dalla coscienza
in seguito all'interazione fra il soggetto e la società. Questo materiale
per
la società deve restare separato dall'Io.
Inconscio collettivo.
È il luogo degli archetipi, che si manifestano nei sogni,
nell'immaginazione attiva, nei miti, nelle fiabe, nelle religioni. Gli
archetipi interagiscono con l'ambiente formando immagini numinose. Sono
suoi elementi, l'Ombra collettiva (credo che si possa parlare anche di
un'Ombra personale), l'Anima, l'Animus.
Il Sé.
Centro e totalità della intera personalità, che comprende sia l'Io che
l'inconscio personale, gli archetipi e altri contenuti collettivi.
Gli istinti fondamentali.
Nell'800 era consolidata l'idea che esistessero tre
istinti primari: la propagazione della specie, la conservazione della
vita, l'ascesa dello spirito. Freud e Adler studiano di preferenza i primi
due esasperandoli e puntando, il primo, sulla sessualità, e il secondo,
sull'aggressività e la volontà di potenza.
L'ascesa dello spirito.
Jung accetta l'uno e l'altro
istinto
nel proprio sistema, ma chiede
il completamento del progetto umano puntando anche sull'ascesa dello
spirito e caratterizza la sua opera ponendo l'enfasi su questo punto. Le
tre vie possono essere percorse assieme. Jung rifiuta il postulato che uno
di questi tre fattori abbia il predominio nel percorrere la via
terapeutica. L'ascesa dello spirito è un istinto elementare, non
derivando da alcun altro istinto. È un istinto prettamente umano, a
differenza degli altri due che sono propri di tutti gli animali. Nell'uomo
dunque può nascere una dicotomia, sconosciuta all'animale, fra due
istinti: uno spirituale e uno naturale. Ma Jung come vedremo non conosce
dicotomie ma sintetizza sempre le coppie di contrari.
Un atteggiamento empirico.
Jung ha qui un atteggiamento empirico; come fa per
conscio e inconscio, che considera aggettivi e non sostantivi, anche per
l'istinto preferisce l'aggettivo istintivo, limitandosi a considerare
fatti o atti istintivi, che sono gli unici empiricamente riscontrabili.
Strutture o metafore?.
Jung userà anche le metafore, ma non cadrà mai
nell'illusione freudiana di credere che una metafora sia una struttura.
Es, Io, Superego, Conscio, Inconscio sono metafore metapsicologiche. Jung
sa di fondare una psicologia soggettiva, pur quando cerca di attenersi ai
fatti empirici. Naturalmente questo errore va attribuito solo a Freud, non
ai freudiani contemporanei, che sono ben consapevoli di questo (cfr.
ad es. Thoma e Kakele).
Essere o divenire?.
Gli archetipi sono (immutabili). La coscienza diviene, si
amplia, ascende. Il sé c'è da sempre e la coscienza lo deve solo
trovare, vedere, integrare? Oppure, nel suo lavoro di conoscenza, lo
costruisce? Il cammino verso il sé non è un cammino del sé. Ciò che
diviene non è il sé, ma la liberazione o il rinvenimento del sé,
oppure per altri la costruzione del sé.
La prodigiosa avventura della ragione è quella di tentare di ricostruire
le tappe del divenire della coscienza. Fra gli allievi di Jung alcuni sono
più interessati al divenire della coscienza che si attua nella dialettica
con l'inconscio; altri sono più attenti alla dotazione eterna
dell'essere. Possiamo chiamarli,
gli uni, evolutivi e,
gli altri, archetipici. Una
terza possibilità prevede di accogliere, come fece Jung, entrambi i punti
di vista: li possiamo chiamare classici. È una riedizione di un
antico
problema filosofico.
Parmenide, Buddha, Democrito, Aristotile, Hegel.
Nell'antica filosofia greca l'Essere
(dato ab initio e per sempre) è contrapposto al mutamento o Divenire.
Secondo Parmenide non esiste altro che l'eterno Essere; ciò che non è
non potrà mai essere e ciò che è non potrà mai scomparire; non ci può
essere passaggio tra Essere e Nulla; il mutamento è illusorio. Secondo
Buddha al contrario tutto è impermanente e l'essere è illusorio. Anche
Democrito la pensa in modo simile: le cose sono soggette al cambiamento e
al moto. Per Platone la materia diviene, mentre le Idee sono. Aristotele
sostenne poi che l'Essere è eterno, ma si manifesta solo nel mutamento.
Hegel infine sostenne che essere e divenire sono momenti dello stesso
processo e che ciascuno di loro deve negare l'altro per inverarlo.
Bibliografia Paolo Francesco Pieri, Dizionario junghiano, Bollati Boringhieri, Torino, 1998 | |||||
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