TEMI   DI   PSICODIALETTICA

a cura del

Centro  internazionale  di  Psicodialettica

Caposcuola e fondatore: Prof. Luciano Rossi

Responsabile del Centro: Dott.ssa Lisa Marchetta

 


Jung, cap. 2. L'immaginazione mitopoietica

 

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 Jung, cap. 2 - L'immaginazione mitopoietica.

di Luciano Rossi  

Premesse.  Per spiegare come in Jung si formò l'interesse per il mito, e come mai fu così forte in lui la dimensione spirituale e occultista, forse è utile premessa ricordare l'influenza che la famiglia materna ebbe sullo studioso. La madre e il nonno materno credevano negli spiriti e si sentivano radicati in quella cultura contadina della Svizzera, così vicina, a quell'epoca, al mondo dell'occulto. Così, mentre Jung da un lato crebbe con una personalità ambiziosa, tendente alla carriera scientifica riconosciuta, al successo e al prestigio (non è esclusa in questo l'influenza del famoso, omonimo, nonno paterno), dall'altro sembrava esibire una seconda personalità  che affondava le sue radici nel lontano passato, nel mondo misterioso della madre, nell'immaginazione mitopoietica. Così, mentre diventa medico e scienziato, giovane forte, carismatico ed esuberante di vita, continua dentro di sé a sentirsi oscuramente, come egli stesso ama definirsi, "l'antichissimo figlio della madre". Egli, per esempio, intaglia una statuetta di legno che denomina "personalità numero 2" e la mette in una scatola: e periodicamente parla con lei inviandole segreti messaggi scritti. Infine sentirà di poter unire le due personalità divenendo psichiatra; in tal modo, infatti, avrebbe potuto conseguire il prestigio scientifico proprio occupandosi, allo stesso tempo, della sua anima antica e misteriosa. Jung conoscerà così Freud e questi lo ammirerà, ma di lui accetterà solo la "personalità numero 1", quella dello psichiatra di successo il cui prestigio era utile a lui e alla psicoanalisi. Freud cercherà, anche se invano, di staccarlo dall'oscura marea di fango dell'occultismo. Anche Jung ammira Freud, ma, dotato di personalità forte e ribelle, non si sogna neppure di divenire suo allievo. Non gli concederà mai quell'autorità paterna che Freud vorrebbe mantenere su tutti gli appassionati di psicoanalisi. Così Freud pensa che Jung, novello Edipo, abbia desideri di morte per lui, mentre vuole possedere da solo la bellissima madre: la psicoanalisi. Del resto Jung aveva già compiuto un'operazione simile abbandonando le povere visioni del padre, pastore evangelico, per salvare la religione-madre dalle misere interpretazioni del padre. Anche in altro modo poi egli è, per Freud, parricida e incestuoso, in quanto, seguendo i miti e l'occultismo, ritorna alla madre-mito tradendo il logos-padre. Ma, come vedremo, Jung vuol dare una luce molto diversa al termine "incesto" e al desiderio di tornare nel regno delle madri. Egli salverà le madri fecondandole a modo suo: correggerà l'analisi con l'alchimia e il cristianesimo con la gnosi. Questi saranno i suoi miti. I padri devono essere superati nel nome, e per la salvezza, delle madri di cui essi, i padri, hanno visioni troppo anguste.

Totalità della libido.  Dal 1900 al 1909 Jung vede nel suo ospedale psichiatrico Burghölzli di Zurigo soprattutto psicotici. A differenza di Freud, ricercatore con formazione non psichiatrica che vede nel suo ambulatorio privato solo pazienti isteriche, Jung è uno psichiatra che lavora in manicomio a contatto diretto con schizofrenici. Osservando il ritiro degli psicotici egli si avvede che questi perdono "totalmente" il contatto con la realtà. Dunque l'investimento che essi distolgono dall'oggetto è totale. Poiché Freud identificava tale investimento oggettuale con una carica libidica solo sessuale, e sosteneva che l'investimento che viene ritirato è solo sessuale, Jung insiste per una ridefinizione ampliativa del termine "libido". Se valesse la definizione di Freud, quando la libido vien ritirata dagli oggetti dovrebbe restare su di loro ogni investimento non sessuale, ma non è così. La libido investe dunque campi più ampi che non la sola sessualità. È una questione solo terminologica? Nella schizofrenia la realtà perde forza e, nella misura in cui la perde, il mondo interiore acquista realtà e forza determinanti. La libido sembra scomparsa dalla realtà esterna e dalla vita di relazione, e sembra approdata su immagini nutritive, pre-sessuali. Si è come formato un equivalente intrapsichico della realtà. Il ritiro della libido riguarda anche forze non sessuali determinando la perdita, non solo dell'interesse erotico, ma anche dell'interesse generale; riguarda insomma l'intero adattamento alla realtà e la stessa janetiana "funzione del reale". Introversione e regressione assolvono ad un ruolo determinante nel sottrarre l'individuo all'adattamento per destinarlo all'oceano psicotico. La funzione nutritiva diventa il surrogato concreto della funzione di realtà.

Mitologia e sacralità dell'incesto.  Nei primi tempi del Burghölzli Jung conosceva solo l'inconscio personale. Fu solo quando si diede allo studio della mitologia (1909) che assunse la consapevolezza dell'inconscio collettivo, nel cui ambito l'incesto assume connotazioni molto diverse da quelle anagrafiche e personali. Inoltre alcuni psicotici osservati da Jung vedono nell'incesto una dimensione mitica. Una catatonica del Burghölzli (1908), per esempio, si era rifugiata in un regno fantastico dove l'incesto era di casa ed era prerogativa dei re e degli dei. Ma fino al 1911 Jung resta convinto che il pensiero fantastico sia un rapporto incestuoso con l'inconscio, immorale dal punto di vista intellettuale ... accettabile solo negli psicotici o in una "miss Miller".  Jung aveva considerato, sino ad allora, il mithos immorale nei confronti del logos. È solo studiando i miti e la cosmografia che si rende conto che, per alcune strutture umane primarie, l'incesto, ossia il confronto con l'inconscio, ha un aspetto accentuatamente religioso. Dunque non deve esser più interpretato e definito in senso biografico, ma quale simbolo d'idee più elevate.

Simboli della trasformazione.  Un sogno, quello della casa a quattro livelli risveglia in lui la passione per l'archeologia e questa a sua volta risveglia l'interesse per il mito. Ormai è convinto che non si possono capire gli psicotici senza l'ausilio del linguaggio mitico. A rinforzare questa convinzione sopraggiunge nel 1911 la pubblicazione delle fantasie di miss Miller. Nei suoi studi antropologici scopre poi che gli aborigeni australiani fanno a primavera delle buche nella terra e vi piantano le spade. Jung vede in questi riti della semina i simboli della libido dei figli e della madre-terra, e nell'unione incestuosa fra i due simboli scorge la trasformazione dei due simboli nel frutto unitario dello loro coniunctio: la sintesi costituita dal figlio androgino. La coniunctio fra i due simboli della libido (incesto) produce wandlung, trasformazione, concepimento del nuovo essere, sintesi, nascita. Nel 1912 esce così "Wandlungen ... " (Trasformazioni e simboli della libido), in cui viene narrata la nascita furiosa di un nuovo mondo psicologico ... "disiecta membra" che Jung non può sistemare in modo adeguato. E scrive in proposito: "Ero cresciuto in campagna, tra contadini - scrive Jung - ... nelle stalle ... e l'incesto e le perversioni non erano per me novità degne di nota e non richiedevano particolari spiegazioni ... «Il fatto è che tutta quella gente [sicuramente parla di Freud e dell'Edipo] è vissuta in città e non sa niente della natura e della stalla umana» pensavo, profondamente seccato ... "(RSR, p. 208) Sempre alla ricerca di un mito personale Jung deve riconoscere in questi anni che il suo mito non è né il cristianesimo di suo padre né la psicanalisi di Freud (seconda figura paterna). Solo rinnovandole entrambe, religione e psicanalisi, le due madri, potrebbero essere (e come vedremo lo saranno) inscritte nel suoi miti personali, che sono la gnosi (la nuova religione) e l'alchimia (la nuova psicanalisi). In esse l'incesto è la via dei re, degli dei e degli eroi, mentre la libido è totale, spirituale e religiosa. L'incesto alchemico fu la via mediante la quale religione e psicoanalisi si fusero per dar luogo a quell'unico mito personale che fu il suo chiaro daimon, il confronto con l'inconscio, il fare anima, a servizio del quale spese l'intera sua vita.

Amplificazione.  Dice Jung: "Secondo me l'incesto [raccontato dagli psicotici] significava [un evento] personale solo in casi rarissimi. Di solito esso presenta un contenuto fortemente religioso, motivo per cui il tema dell'incesto ha una parte decisiva in tutte le cosmogonie e in numerosi miti. Nel valutare queste fantasie è dunque necessaria l'amplificazione, metodo in aggiunta, e parzialmente in contrapposizione, a quello delle associazioni libere, che è introdotto da Jung per lo sviluppo, in ampiezza e intensità, delle espressioni inconsce onde permetterne una possibile lettura psicologica. Uno specifico tipo d'amplificazione è il metodo comparativo: "Per interpretare (...) i "prodotti" dell'inconscio, mi si è (...) imposta anche la necessità di una lettura totalmente diversa dei sogni e delle fantasie che io - quando ciò mi è sembrato corrispondere alla natura del caso - non ho più ridotto, come Freud, ad elementi pulsionali, ma ho posto in analogia con i simboli della mitologia, della storia comparata delle religioni e con altro ancora, per riconoscere il significato sotto il quale essi si apprestavano ad agire. Questo metodo ha prodotto, in effetti, risultati estremamente interessanti, anche perché ha permesso una nuova lettura dei contenuti onirici e fantastici, per cui è diventato possibile operare una riconciliazione tra la personalità cosciente e le tendenze arcaiche altrimenti incompatibili con la coscienza" (1930a, p. 351). Occorre mettere il malato in contatto col senso del divino così da farlo sentir parte di un progetto numinoso, farlo sentir partecipe dello stesso pericolo corso dal dio in modo da restituirgli valore e salute, anziché sguazzare nel fango dell'inconscio personale e dei ricordi infantili. 

Il sogno.  Ritenendo che il sogno veicoli, e non occulti, altro materiale psichico, Jung paragona la pratica analitica a quella filologica: come quest'ultima, anche la pratica analitica può adottare lo strumento dell'amplificazione per l'indagine sul testo, integrandolo con lo strumento associativo per quanto riguarda, in particolare, lo specifico contesto di un particolare testo. Dice Jung: "L'assunto che il sogno voglia occultare qualcosa è semplicemente un'idea antropomorfica. Nessun filologo penserebbe mai che una difficile iscrizione sanscrita o cuneiforme voglia nascondere qualcosa. Nel Talmud troviamo un'asserzione molto saggia: Il sogno è la sua propria interpretazione. Il sogno è un tutto, e se credete che abbia un che di misterioso o che nasconda qualcosa, sicuramente non lo avete capito. Perciò, per prima cosa, quando ci troviamo davanti a un sogno, dobbiamo dirci: «Non ci capisco un bel niente». Questo sentimento di incompetenza è sempre ben accetto da parte mia, perché allora so che mi impegnerò a fondo per capire il sogno. Ora vi spiegherò come mi comporto. Adotto il metodo del filologo, che è ben lontano da quello della libera associazione, e applico un principio logico che si chiama amplificazione. Si tratta semplicemente di ricercare paralleli" (1935b, p. 95).

Archetipi e inconscio collettivo.  L'inconscio collettivo è il luogo degli archetipi, che si manifestano nei sogni, nell'immaginazione attiva, nei miti, nelle fiabe, nelle religioni. Immagini universali presenti nell'uomo fin dai tempi più remoti. Immagini primordiali, dominanti, disposizioni ereditarie, programmi, capaci di costellare l'esperienza secondo schemi innati. Gli archetipi interagiscono con l'ambiente formando immagini numinose. Conosciamo gli archetipi dai miti; e ne riscontriamo la presenza nelle fantasie degli psicotici. Essendo gli archetipi meno presenti o meno chiari nelle fantasie nevrotiche, Freud e Adler non ebbero la stessa possibilità empirica di osservarli frequentemente come Jung ebbe al Burghölzli. Si tratta di forme tipiche dei modi di pensare e di agire dell'uomo, e quindi una possibilità innata di rappresentazione che in quanto tale presiede all'attività immaginativa. Com'era arrivato Jung ad ipotizzare l'esistenza di un inconscio collettivo?

Residui arcaici.  Nei suoi studi mitologici Jung esaminava gli eroi dei miti come fossero suoi pazienti e trovava somiglianze fra i miti e le fantasie degli psicotici. Ebbe modo di constatare che alcuni pazienti avevano delle fantasie che coincidevano con dei miti che non conoscevano. Come le potevano avere? Jung sapeva che l'inconscio trattiene i residui diurni. Cominciò a chiedersi se simili residui potessero durare nel tempo sino a divenire residui arcaici e se, in tal modo, anche mitologie dimenticate potessero restare, per innumerevoli generazioni, sepolte nell'inconscio di tutti gli uomini. Se così è, se esiste tale inconscio collettivo, allora sappiamo che i miti sono rimasti dentro l'uomo e che da lì possono emergere in forma criptica sotto forma di fantasie. La conoscenza dei miti ci consente allora di completare le fantasie e di dar loro un senso. All'inizio Jung non era in grado di vedere e accettare che lui stesso aveva tali fantasie, sorte nella sua personalità numero due. Così può accadere che egli le proietti su Miss Miller e diagnostichi in lei anziché in sé una psicosi latente. Predisse che Miller si sarebbe ammalata ed invece fu lui ad ammalarsi. Se si proietta la nostra parte mitica e psicotica, anziché intraprendere il viaggio nell'inconscio, si rischia di non scoprire in tempo i nostri problemi.  

La verità del mito.  Per millenni l'uomo è stato guidato nella sua esistenza dal mito, che, prima della filosofia greca, "non è stato mai invenzione fantastica ma rivelazione del senso essenziale e complessivo del mondo. Racconto anonimo che è parte di un corpo di tradizioni oralmente tramandate tra i vari membri di una specifica comunità "Come il Vico, Jung considera il mito "una forma autonoma di pensiero e di organizzazione cognitiva del mondo " (Pieri, 1998, p. 450). Esso costruisce "ponti simbolici di fronte a quelle che altrimenti sarebbero fratture radicali in cui la psiche umana non può che sprofondare: e cioè nei miti sono inscritte in codice quelle conoscenze e competenze che ogni uomo in quanto tale ha, da sempre e ovunque, sperimentato e continuerà a sperimentare. Jung considera il mito come una forma di pensiero autonoma, e quindi non secondaria né subordinata rispetto alla conoscenza razionale che a essa è, anzi, intrecciata" (Pieri, 1998, p. 451). "Il materiale mitologico è inteso da Jung come emblema dell'attività psichica e in particolare come dimostrazione e approfondimento dell'ipotesi intorno all'inconscio collettivo e ai relativi archetipi. Secondo Jung lo studio comparativo dei differenti miti ... risulta importante al fine di ritrovare quelle convergenze tematiche e quei motivi ricorrenti (vita, morte, abbandono, separazione, incesto, regressione, frantumazione, salvezza, creazione, distruzione ecc.) che lo psicoterapeuta incontra nel suo lavoro, e quindi per comprendere quanto lo stesso inconscio offra simbolicamente al paziente, di fronte all'impossibilità della sua coscienza di assegnare, da sola, un senso a quello che è un momento specifico dell'esistenza. Con queste implicazioni psicoterapeutiche, laddove si assuma soprattutto il fatto che la cura psicologica passa attraverso l'accordare una certa realtà all'immaginazione, si comprende quanto il senso dell'immenso lavoro di ricognizione dei miti sia teso alla ricerca dei significati "simbolici", e quindi finalizzato a dischiudere la funzione immaginativa dell'inconscio" (Pieri, 1998, p. 450). Il mito ci è utile in quanto può avanzare un diritto alla verità. Il logos lascia delle fratture che il mito può colmare.  "Gli dei - scrive Galimberti - ci hanno abbandonato e il mondo ha perso il suo incanto. Ma il disincanto del mondo offre fenditure che la ragione scientifica non riesce a ricucire e perciò abbandona, aperte, allo sguardo" (In Hubner, La verità del mito, Feltrinelli). Nel tramonto del mito nasce l'idea di un sapere innegabile, un sapere che è stato chiamato sophia, logos, alétheia, epistéme. Un sapere che appartiene alla luce, che sta al di fuori dell'oscurità. Ma alcune cose, come sappiamo, restano nell'oscurità e non possono essere raggiunte dal logos. Inserito in una psicoterapia, il mito offre ancora una volta alle fratture del logos, come nel passaggio fra Omero e Talete, una possibilità di pensare. "La symbole donne a penser", ci istruisce Ricoeur. Del resto anche nella fisica contemporanea si abbandona la pretesa del logos. In questo modo la scienza ritorna al mito e la filosofia diviene una parentesi nella lunga storia del mito.  


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