TEMI   DI   PSICODIALETTICA

a cura del

Centro  internazionale  di  Psicodialettica

Caposcuola e fondatore: Prof. Luciano Rossi

Responsabile del Centro: Dott.ssa Lisa Marchetta

 


Orfeo

 

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Orfeo

 

Lisa Marchetta

 

 

 

Pensiero io non ho più parole.

Ma cosa sei tu in sostanza?

Qualcosa che lacrima a volte,

e a volte dà luce.

Pensiero dove hai le radici?

Nella mia anima folle

O nel mio grembo distrutto?

Sei così ardito vorace,

consumi ogni distanza;

dimmi che io mi ritorca

come ha già fatto Orfeo

guardando la sua Euridice,

e così possa perderti

nell’antro della follia[1].

Alda Merini

 

 

Come Giasone ed Eracle, anche Orfeo si può includere tra gli Eroi della mitologia greca.

Egli si definisce nella dialettica con Apollo e con Dioniso: il vate, infatti, si lascia guidare dalle due divinità attraverso la via della musica, prima, e degli Inferi, poi.

Ma la specificità di Orfeo è data anche da Euridice. Senza Euridice quale meta nell’aldilà (ovvero il luogo dell’anima), Orfeo non sarebbe tale.

La poesia si può definire orfica quando è espressione della plasticità apollinea (principium individuationis) e della vitalità dionisiaca (fusione universale):

 

[…] si potrebbe definire lo stesso Apollo come la magnifica immagine divina del principium inidividuationis, dai cui gesti e sguardi ci parla tutta la gioia e la saggezza della ”parvenza”, insieme alla sua bellezza.

[…] sotto l’incantesimo del dionisiaco non solo si restringe il legame fra uomo e uomo, ma anche la natura estraniata, ostile o soggiogata celebra di nuovo la sua festa di riconciliazione con il suo figlio perduto: l’uomo[2].

 

E’ questo il significato scorto nel mito di Orfeo da svariati poeti, che hanno trovato ispirazione nel suo viaggio oltre i confini della finitezza umana.

L’uomo diviene Eroe poiché lascia che le due sostanze, apollineo e dionisiaco, fluiscano in lui:

 

in fondo il fenomeno estetico è semplice; che soltanto si abbia la capacità di vedere di continuo un giuoco vivo e di vivere costantemente attorniati da schiere di spiriti, e si è poeti; che soltanto si senta l’impulso a trasformare se stessi e a parlare immedesimati in altri corpi e in altre anime, e si è drammaturghi[3].

 

Orfeo pare posseduto dalle due divinità, Apollo e Dioniso, e si lascia trasportare nelle terre di cui essi sono sovrani. Egli compie un viaggio agli Inferi e poi vi ritorna: è questo che interessa alla psicodialettica[4]: il viaggio di andata e quello di ritorno. Nella vicenda di Orfeo, infatti, è difficile non scorgere un’espressione della dialettica hegeliana, difficile è non rimanere abbagliati dagli attimi di negazione che la coscienza orfica pone a se stessa per potersi innalzare.

Nel mito di Orfeo si possono quindi individuare i cinque passi del processo di individuazione che, secondo la psicodialettica, il soggetto segue nel suo percorso esistenziale.

 

 

 

 

  1. Le origini

 

Considerato figlio di Apollo e di una Musa, Orfeo ha il privilegio di una duplice genealogia apollinea.

Si racconta che il divino genitore lo istruisse nella lira, insegnandogli ciò che in precedenza egli aveva appreso da Ermes.

Nelle descrizioni che lo riguardano, Orfeo appare spesso confuso con Apollo: è quasi una copia del suo divino maestro:

 

colà il figlio di Calliope si mostrava come un duplicato di Apollo […], se non fosse espressamente detto e scritto il nome del cantore sulle immagini che rappresentano Orfeo, non si saprebbe quale dei due si fosse inteso ritrarre nelle scene raffigurate[5]

 

La simbiosi con il dio Apollo fa presagire per lui un destino grandioso, dettato dalla possibilità di dare espressione alla musica del suo maestro, di essere un tramite tra il divino e l’umano. Ma questa possibilità è spezzata dall’umanissima vicenda che lega Orfeo a una donna: l’innamoramento del cantore per Euridice è l’inizio del viaggio della coscienza orfica.

 

 

  1. Separazione da Apollo e fusione con Dioniso

 

Con il matrimonio di Orfeo ed Euridice si ha la prima negazione della coscienza orfica: la negazione delle origini apollinee.

Purtroppo, la felicità coniugale della coppia è presto interrotta dalla tragedia: la novella sposa muore morsa al tallone da un serpente. Orfeo non fa in tempo a sentirne l’ultimo respiro che essa è già stata rapita da Ades.

Il cantore va allora alla ricerca dell’amata addentrandosi nel regno dei morti, percorrendo la stessa strada di Dioniso, che era sceso nell’Ade per riportare in vita la madre Semele.

La separazione da Apollo è sempre più evidente: Orfeo segue le orme di Dioniso, si allontana dal suo grande maestro e si fonde con il secondo Dio:

 

ma l’ombra che cadde da allora sulla sua essenza apollinea, fu di natura dionisiaca: Orfeo apparteneva a Dioniso non meno che ad Apollo[6].

 

La lira è il ponte che rende possibile il viaggio: quando Orfeo giunge agli Inferi, intona un canto patetico nel quale chiede a Persefone e Plutone, sovrani dell’oltretomba, che Euridice torni dal regno dei morti a quello dei vivi:

 

io ho voluto poter sopportare e non negherò di aver tentato; ma Amore ha vinto. Questo è un Dio ben conosciuto nelle regioni superiori; se lo sia anche qui non so; ma penso che lo sia anche qui; infatti, se la fama dell’antico rapimento non è falsa, anche voi congiunse Amore. Io per questi luoghi pieni di paura, per questo immenso abisso e per i silenzi di questo vasto regno, vi prego ritessete i destini di Euridice spezzati prematuramente […][7].

 

Il sublime canto di Orfeo incanta e commuove le creature dell’Ade, che tutte partecipano al suo immenso dolore:

 

[…] e Tantalo non cercava di afferrare l’acqua fuggente, e la ruota di Issione si incantò; e gli uccelli cessarono di lacerare il fegato e le Belidi smisero di vuotare le urne e tu, o Sisifo, ti sedesti sul tuo sasso. Allora è fama che per la prima volta si bagnarono di lacrime le guance delle Eumenidi vinte dal canto; né la regale consorte né colui che regge il profondo inferno hanno il coraggio di dir di no ad Orfeo che pregava e chiamano Euridice; essa se ne stava tra le ombre giunte di recente e avanzò con passo attardato per la ferita[8].

 

Questo momento rappresenta la prima negazione: la separazione dai vivi; la ricerca di Euridice nel regno dei morti; il viaggio di andata.

L’allontanamento da Apollo può essere rappresentato dalla fedeltà di Orfeo ad Euridice; la scelta di Orfeo di seguire la sposa adorata può essere intesa come la ricerca di un legame amoroso con il femminile.

Nel desolato regno degli Inferi, nessuno riesce a ostacolare la decisione dell’Eroe, la sua determinazione nel tentativo disperato di riportare in vita l’amata. Ma c’è una regola che il cantore deve rispettare: non può guardare Euridice in volto finché, insieme a lei, non giungerà sulla Terra: “nessuno sguardo, soltanto la voce era permessa nel regno dei morti”[9].

 

 

  1. Separazione da Dioniso e ritorno ad Apollo

 

[…] si prende in profondo silenzio un sentiero in pendio difficoltoso, oscuro, avvolto di nera caligine. Erano giunti non lontano dalla superficie della terra; qui, temendo che gli sfuggisse e avido di vederla, lo sposo innamorato rivolse indietro gli occhi e subito quella ripiombò giù; tendendo le braccia e tentando di farsi prendere e afferrare, l’infelice nulla strinse se non l’aria impalpabile. E ormai, morendo di nuovo, non si lamentò del suo sposo (di che cosa infatti si sarebbe dovuta lamentare, se non di essere amata?) e gli rivolse il supremo addio che ormai a stento quello poteva cogliere con le orecchie e precipitò di nuovo nello stesso posto[10].

 

Orfeo non resiste, guarda in volto Euridice e in questo modo nega il ripetersi della vicenda dionisiaca, nega la prima parte del viaggio e, ferito dalla legge dell'Ade, torna a casa senza l’amata. Orfeo guarda Euridice come Psiche guardò in volto Amore: nonostante il divieto. Ciò conferma la coscienza negatrice di Orfeo.

La vicenda è riportata anche da Virgilio nelle Georgiche; il poeta latino racconta la negazione di Orfeo utilizzando il termine “follia”:

 

ormai tornando sui suoi passi aveva superato tutti i rischi, e ridata a lui Euridice andava verso l’aria che spira in alto, seguendolo alle spalle (questa la condizione voluta da Proserpina) - quando un’improvvisa follia colse l’innamorato imprudente (cosa da perdonarsi se i Mani sapessero perdonare): si arrestò e ormai presso la luce, dimentico – ahimè – e vinto nell’animo dalla passione, gettò uno sguardo indietro alla sua Euridice. Lì tutta la sua fatica andò distrutta e furono infranti i patti fissati dal signore spietato, e per tre volte si udì un fragore sopra gli stagni d‘Averno […][11].

 

Allo stesso modo, anche Euridice è vittima di due negazioni: il morso del serpente, prima, e lo sguardo di Orfeo, poi, la “uccidono due volte”.

 

 

  1. Riconciliazione con Apollo e differenziazione con Dioniso

 

Tornato nel regno dei vivi, Orfeo sceglie l’astinenza sessuale e trascorre le giornate introducendo i giovani ai misteri di Persefone, dea degli Inferi: in tal modo egli si riconcilia con Apollo. Il cantore ha fatto sua la dimensione apollinea, che gli permette di divenire maestro; astenendosi dall’amore con le donne tracie, invece, egli si differenzia in modo netto da Dioniso:

 

…ed Orfeo rifiutava ogni amore femminile, sia perché gliene era venuto male, sia perché aveva promesso fedeltà; tuttavia il desiderio di unirsi al vate prendeva molte donne; molte si dolsero perché respinte[12].

 

Questa scelta costerà molto cara ad Orfeo, che viene ucciso a sassate dalle donne tracie:

 

… sacrilegamente lo ammazzarono e da quella bocca che, per Giove, era stata ascoltata dai sassi e intesa dalla sensibilità delle belve, l’anima esalata si disperse nei venti[13].

 

Morendo, l’eroe recupera in qualche modo la dimensione dionisiaca.

 

 

  1. Riconciliazione con Dioniso

 

Orfeo torna da morto al regno dei morti: è questo l’unico modo per riappropriarsi di sé.

Nella storia dell’individuazione di Orfeo, la dialettica con l’aspetto apollineo e con quello dionisiaco si conclude con l’integrazione di entrambi e, di entrambi, il superamento. Nasce la coscienza orfica, che affonda le sue radici sottoterra e innalza i suoi rami al cielo.

Orfeo ora vive nelle terre dove un tempo Dioniso andò a riprendersi la madre, ma egli vi soggiorna con Euridice:

 

qui ora camminano di pari passo: ora Orfeo va dietro Euridice, se lei va avanti, ora cammina avanti e guarda senza timore la sua amata[14].

 

L’eroe vive pienamente nell’Ade e ciò che nella storia di Orfeo è ultraterreno - il suo legame con Apollo- si conclude con un canto eterno:

 

le membra giacciono sparse in varie località; la testa e la lira le accogli tu, fiume Ebro, e (cosa mirabile!) mentre è trasportata dalla corrente del fiume, la lira fa sentire non so quali accenti lamentosi, un mormorio lamentevole emette la lingua senza vita, dalle rive risponde l’eco del lamento. E già immesse nel mare hanno lasciato il fiume patrio e sono approdate alla costa di Metimna, nell’isola di Lesbo […][15].

 

Nel corso del tempo, molti poeti saranno ispirati dalla vicenda di Orfeo - colui che cammina beato nell’Ade in compagnia di Euridice - attingendo vitalità dall’antico mito: primo fra tutti, nella poesia moderna, Rainer Maria Rilke con suoi Sonetti a Orfeo, a proposito dei quali Franco Rella ricorda che

 

la morte di una fanciulla, un’immagine appesa nello studio di Muzot, in Svizzera, in cui Rilke si era rifugiato in assoluta solitudine, alcune cose dunque, alcuni eventi, risvegliano le cellule orfiche che - come ha scritto Benn -  dormono nel cervello dell’occidente[16].

 

 

 


 

[1] Merini A., La terra Santa, Scheiwiller, Milano 1984

[2] Nietzsche F., La nascita della tragedia, Adelphi, Milano 2009, pagg. 24-25

[3] Nietzsche F., op. cit., pag. 59

[4] Rossi L., Psicodialettica, Quattroventi, Urbino 1999

[5] Kerényi, K., Gli dei e gli eroi della Grecia, trad. Tedeschi V., Il Saggiatore, Milano 2009,

pag. 469

[6] Kerényi K., op. cit., pag. 472

[7] Ovidio, Le metamorfosi, a cura di Scivoletto N., UTET, Torino 2005, X, 25-31, pag. 479

[8] Ovidio, op. cit., X, 42-49, pag. 479

[9] Kerényi K., op. cit., pag. 471

[10] Ovidio, op. cit., X, 53-63, pag. 479

[11] Virgilio, Georgiche, Oscar Mondadori , , Cles, 2009, VI, 485-493, pag. 129

[12] Ovidio, op. cit., X, 79-83, pag. 481

[13] Ovidio, op. cit, XI, 41-44, pag. 523

[14] Ovidio, op. cit, XI, 65-66, pag. 525

[15] Ovidio, op. cit, XI, 50-56, pag. 523,

[16] Rilke R. M., I sonetti a Orfeo, a cura di Rella F., Feltrinelli, Milano 1998, pag. 7

 

 

 

 

Bibliografia

 

Kerényi, K., Gli dei e gli eroi della Grecia, trad. Tedeschi V., Il Saggiatore, Milano 2009

Merini, A., La terra Santa, Scheiwiller, Milano 1984

Nietzsche, F., La nascita della tragedia, Adelphi, Milano 2009

Ovidio, Metamorfosi, a cura di Scivoletto N., UTET, Torino 2005

Rilke R. M., I sonetti a Orfeo, a cura di Rella F., Feltrinelli, Milano 1998

Rossi, L., Psicodialettica, Quattroventi, Urbino 1999

Rossi, L., Negazioni, Quattroventi, Urbino 1992

Virgilio, Georgiche, Oscar Mondadori , Cles 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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