TEMI   DI   PSICODIALETTICA

a cura del

Centro  internazionale  di  Psicodialettica

Caposcuola e fondatore: Prof. Luciano Rossi

Responsabile del Centro: Dott.ssa Lisa Marchetta

 


L'ottuplice sentiero

 

Home | Presentazione | Storia del Centro | Il pensiero | Trasformazione | Letture

Pubblicazioni | Links | Articoli | Proprietà  


Il sentiero della liberazione dal dolore

© Luciano Rossi 2001

Il monaco Buddhadasa suggerisce che tutta la dottrina buddhista potrebbe ridursi, all’atto pratico, a una manciata di foglie ossia a poche indicazioni o insegnamenti. Proviamo a seguire il suo suggerimento e condensiamo la pratica buddhista in una breve sinossi che possiamo  racchiudere in uno schema grafico (vedi immagine) a significare che si tratta di un percorso a tappe. 

L’osservazione dei mali del mondo suggerisce che gran parte di questi mali sia dovuto al Sankhara, ossia al fatto che gli esseri sono stati condizionati e che sono esistiti, o ancora esistono, fattori condizionanti di cui dobbiamo liberarci in quanto produttori di veri a propri veleni, quali l’attaccamento, l’avversione e l’ignoranza della reale natura delle cose. A causa del condizionamento siamo convinti di essere caratterizzati da peso, materia, sensazioni, pensieri, emozioni, insomma corpo e mente, e questi siano il nostro “io”. Siamo inoltre convinti che essi siano permanenti e che, non solo noi, ma anche le cose del mondo esterno siano impermanenti, soprattutto siano nostri possessi, il cosiddetto “mio”.

Il sankhara è contemporaneamente tre cose: la causa, l’effetto e l’operazione del condizionamento. Tutto parte da lì, da queste tre cose: fattori condizionanti, operazioni di condizionamento e il fatto d’esser noi oggetti condizionati.

Il sankhara produce tre veleni: raga, dosa e avijja, ossia l’attaccamento alle cose piacevoli, all’io e al mio, l’avversione verso le cose sgradite, e l’ignoranza, ossia il non sapere che le cose sono impermanenti e inconsistenti.

Questi veleni producono il dolore, come ci dicono le quattro nobili verità. Le quali peraltro ci assicurano che è possibile liberarsi dal dolore e ci insegnano il cammino della liberazione.

Tale cammino è un sentiero a otto gradini o passi, illuminato da tre grandi astri, tutti necessari al cammino: la saggezza, la virtù, la pratica. Trattiamoli separatamente, e nell’ordine suggerito dalla dottrina buddhista, ricordando però che l’ordine in cui un praticante li può apprendere e fare propri non è rigidamente fissato e può essere adattato alla propria costituzione e al proprio registro culturale. Essi si generano l’un l’altro in modo circolare e scegliere prima l’uno o l’altro può esser lasciato alle attitudini personali.

 

A - L’acquisizione di Panna (in lingua pali) o Prajna (in sanscrito), la saggezza, richiede due passi:

1 - retta visione delle cose: vedere chiaramente come sono le cose (ossia dolorose, impermanenti, inconsistenti) e agire di conseguenza.

2 - rette intenzioni, pensieri, decisioni, atteggiamenti, giusti propositi, corretta risoluzione. Spesso non si è consci dei motivi nascosti che ci muovono. Questi potrebbero essere egoistici e indegni. Si deve chiarire dunque a se stessi i motivi delle nostre azioni prima di porle in essere. Un’intenzione retta ha almeno tre caratteristiche: liberarsi dall’attaccamento, dalla collera, dall’ignoranza e dall’abitudine di danneggiare gli altri. Essi sono veleni e solo se ce ne libereremo, anche i prossimi tre gradini (il corretto parlare, agire, sostentarsi) saranno possibili.

 

B - Sila, la virtù, richiede la presenza di tre condizioni:

3 - retta parola, o astensione dalla menzogna, dalla calunnia, dal parlare ozioso. Adottare una parola costruttiva e utile, che possa giovare a se stessi e ad altri.

4 - retta azione, ossia avere compassione verso ogni vivente. Non mai nuocere ad alcuno per superficialità e avventatezza, e nemmeno per solerzia. Non aver bisogno di dominare o di essere dominati.

5 - retti mezzi di sussistenza: né troppa ricchezza né troppa povertà. Modo appropriato di guadagnarsi da vivere. Evitare i guai. Imparare a riconoscerli da lontano. Fare buon uso del tempo, lavorare con amore, conservarsi in buona salute. Vi rientrano sonno, sport, alimentazione, armonia con la propria costituzione individuale.

 

C - La pratica, o Samadhi, è principalmente rivolta alla meditazione di consapevolezza. Affronta tre gradini:

6 - retto sforzo spirituale: che la fatica nel coltivare il bene ed evitare il male non sia eccessiva, ma nemmeno scarsa.  Che ci sia la giusta manutenzione del nostro spirito.

7 - retta consapevolezza: evitare la distrazione e la sbadataggine, attenzione alle cose che giungono alla coscienza, tenendo presente che la loro percezione può aprire la porta al desiderio e quindi al dolore se divide le cose in buone o cattive.

8 - retta meditazione: i sette precedenti gradini contribuiscono a rendere facile la meditazione. A sua volta la meditazione contribuisce a rendere naturale la pratica dei gradini precedenti. L’antica tradizione si serve della meditazione praticata dal Buddha ed è chiamata anapanasati. Questa consiste nella osservazione successiva del respiro, del corpo, delle sensazioni, della mente, del Dhamma. L’oggetto dhamma è di vasto e plurimo significato. Esso significa almeno quattro cose: la realtà esterna e interna, la dottrina del Buddha o legge, l’armonia, i benefici derivanti dal possesso della saggezza, dall’esercizio della virtù, dalla pratica della meditazione.

 

La continua pratica dell’ottuplice sentiero ci renderà edotti che il mondo è impermanente, inconsistente, insoddisfacente, vuoto, e che è inutile provare avversione per questo fatto. Il mondo occorrerà accettarlo così com’è. Dobbiamo riporre la più assoluta attenzione a questo “così com’è”, detto tathata in lingua pali, thusness in lingua inglese, quiddità in italiano. È il nostro punto d’arrivo.

Questa convinzione, allorché sarà divenuta stabile e definitiva, ci renderà vuoti, liberi dall’attaccamento all’io/mio, dall’avversione, dall’illusione della permanenza e della consistenza.

Allora la nostra esistenza non sarà più condizionata e avremo raggiunto la capacità di lasciar essere le cose, le persone, gli eventi, così come sono.

Questa conoscenza, e accettazione, di impermanenza, inconsistenza, insoddisfazione, vacuità e quiddità, annulla gli effetti del sankhara ed è il punto più alto del buddhismo e anche della Psicodialettica.

 

 

 


Home | Presentazione | Storia del Centro | Il pensiero | Trasformazione | Letture

Pubblicazioni | Links | Articoli | Proprietà  

Copyright 2003 - Centro internazionale di Psicodialettica - All Rights Reserved

Per contattarci scrivete a: luciano.rossi38@alice.it