TEMI DI PSICODIALETTICA a cura del Centro internazionale di Psicodialettica Caposcuola e fondatore: Prof. Luciano Rossi Responsabile del Centro: Dott.ssa Lisa Marchetta
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Individuazione e collettivo sociale |
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Individuazione
e collettivo sociale
di Roberta Rossi [...] come sull’infuriante mare [...] siede in barca il
navigante e sé affida al debole naviglio; così siede tranquillo, in
mezzo a un mondo pieno di tormenti, il singolo uomo, poggiandosi fidente
sul principium
individuationis[1]. A.
Schopehauer Nel 1912 le idee di Jung si separarono da quelle di Freud. Il 1912 è l’anno in cui esce Trasformazioni e simboli della libido, l’opera del “tradimento” junghiano, in cui l’Allievo, nella sua pubblicazione, di fatto rifiuta quello che lui riteneva il dogma del pansessualismo. Dopo la separazione dal “Padre”, Jung inizia un viaggio solitario e “periglioso”, un periodo, per lui, di disorientamento, di buio, d’esilio, di perdita delle ordinarie, familiari, coordinate della sua esistenza intellettuale e personale. È, questa, una fase dell’esistenza in cui il protagonista rasenta, a più riprese, la caduta nella follia, una fase in cui egli si trova a confrontarsi, senza un filo d’Arianna, con il proprio inconscio, costretto
a lasciar[si] portare dalla corrente senza sapere dove questa [lo] avrebbe
condotto[2].
Nonostante
ciò, e sempre più ad ogni passo successivo, oltremodo necessaria e
inelusibile gli s’annuncia la ricerca di una strada sua, di un proprio
spazio individuale, che sia, allo stesso tempo, culturale ed esistenziale.
In questo periodo si è separato
anche dagli studenti. Non ha più nulla da insegnare, lui che ora “non
sa più nulla”. Come Cartesio ripartì dal solo Cogito,
rinunciando alle conoscenze dei Maestri che lo avevano preceduto, così
ora Jung camminerà da solo, traendo dalla sola sua esperienza ogni
conoscenza che questa potrà portargli. Quando nel 1918, uscito ormai
dall’esperienza di quel buio tunnel di totale isolamento che la
separazione da Freud gli aveva procurato, operata ormai la distinzione,
sia dagli altri che dai contenuti archetipici
dell’inconscio, serenamente può accingersi a riflettere sulla
precedente, angosciosa, e lunga, deriva della sua esistenza e della sua
teoria; e sentire di non essere stato del tutto privo, in quegli anni, di
una sorta di stella polare. Questa scoperta è per lui decisiva: egli si
rende conto d’esser stato guidato, a sua insaputa, come dice
Schopenhauer, da un principio d’individuazione. Un’idea che, già quattro anni
prima, egli aveva riconosciuto come presente, in ogni uomo, in ogni
figlio, nel momento sacrificale della separazione dalla propria madre. Quella
di Jung non è altro che la prima parte di una storia tipica, o meglio
arche-tipica, dell’umanità; una storia, la sua, che descrive le prime
due fasi di quella universale dialettica esistenziale, che sempre dovrebbe
svilupparsi fra il figlio e il padre, e che tutti noi così ben
conosciamo. E se, percorrendola, egli sentì di camminare, in un modo
particolare, quasi iniziatico potremmo dire, sul sentiero della propria
individuazione, se sentì di appartenere ad un processo che, in alcune sue
fasi, ritenne descrivibile, allora possiamo, noi, oggi, pensare di
ricevere la sua storia personale come si potrebbe ricevere
il testimone di un’immaginaria staffetta[3]
e confrontare questa visione dialettica con quella di chi, dopo di lui,
allievo, epigono, o contemporaneo[4],
ha portato, a quella, un contributo d’amplificazione o di sviluppo.
Nelle nostre brevi conclusioni, che vogliono costituire il cuore
sostanziale della tesi, porremo l’accento, in particolare, sui temi
sviluppati da Silvia Montefoschi intorno alla dialettica[5]
junghiana, cercando di immaginarne, e proporne, successive elaborazioni,
individuando, e proseguendo, così, un percorso, iniziatico anch’esso,
cominciato nel secondo decennio di questo secolo. Riferisce Barbara Hannah[6]
che Jung approdò al concetto d’individuazione all’incirca nel periodo
della prima guerra mondiale e che, per lui, individuarsi altro non era che
raggiungere il Sé, l’archetipo della globalità, che contiene in sé
tutti gli altri archetipi. Anche
il processo d’individuazione lo è. Questa tesi sosterrà proprio
questo. Sottolineeremo in particolare, sulla scia di Montefoschi, che una
delle modalità, con cui esso si presenta, è una particolare forma di
dialettica che si presta ad essere rivissuta, in modo utile ed efficace,
anche in sede terapeutica. Ma
se, come si è detto, il Sé contiene in se stesso tutti gli archetipi,
allora conterrà anche quello del viaggio per raggiungerlo, come se la
meta attraesse ineluttabilmente il viandante a se stessa, rendendo fatale
e irrefutabile il viaggio a chi ha visto, o intuito, immaginato, sia pure
fuggevolmente, l’esistenza del Sé. Chi poi avesse effettivamente
compiuto questo viaggio, avrebbe anche un’altra sensazione, e
racconterebbe che è come se il Sé venisse a prelevare, virgilianamente,
il viandante all’initium, al suo initium, e
lo guidasse poi lungo tutto il percorso iniziatico[7].
Per
quel che riguarda Jung, crediamo si possa affermare che egli aveva sentito
tale principio, prepotente, in se stesso e presente, sempre, come una
guida preziosa. Nel 1960 Jung stesso aveva raccontato ad Aniela Jaffé
che, nel 1918 e 1919, si era sentito irresistibilmente spinto, come da un
processo interno, a disegnare molti mandala,
simbolo per lui del Sé, del centro, come avrebbe compreso e
comunicato più tardi. Ciò che Jung disegna, quasi antesignano delle sue
numerose topiche, provvisorie e semplicemente indicative, mandala esse
stesse, è quello che gli perveniva dal suo profondo, se si lasciava
andare verso se stesso. Sappiamo che, in merito a ciò, egli si era,
infatti, così espresso:
Mentre
li disegnavo, mi si poneva il problema: “A che porta questo processo?
Qual è la sua meta?”. Per personale esperienza sapevo che per ora non
potevo presumere di scegliere una meta che mi paresse degna di fiducia.
Avevo visto che dovevo abbandonare del tutto l’idea della supremazia
dell’io. La prova era già fallita: volevo continuare l’elaborazione
scientifica dei miti, così come l’avevo iniziata nel libro Trasformazioni e simboli della libido [in tedesco nel testo]. Quella
era la mia meta, ma non dovevo pensarci! Ero costretto a seguire io stesso
il processo dell’inconscio, senza sapere dove mi avrebbe condotto.
Quando avevo cominciato a disegnare i mandala, comunque, vidi che tutto,
tutte le strade che avevo seguito, tutti i passi intrapresi, riportavano
sempre ad un solo punto, cioè nel mezzo. Mi fu sempre più chiaro che il
mandala è il centro. È l’espressione di tutte le vie. È la via del
centro, all'individuazione[8].
Anna
Maria Sassone c’informa, a tal proposito, che viene
comunemente
indicato, anche da G. Adler e dalla Jaffé nella prefazione alle Jung
Letters (Jung 1973, XXII), il 1916 come anno in cui, negli scritti di
Jung, compare per la prima volta
il termine ‘individuazione’ [...] Jung, però, utilizza il termine
‘individuazione’ prima del 1916[9].
Lo
fa precisamente nel 1912 in Trasformazioni
e simboli della libido. In quella sede già si comincia a delineare in
lui l’idea che rinunciare alla simbiosi, distinguersi
dalla madre, percepirsi come individuo
separato, tendere al Sé,
siano le tappe che caratterizzano il percorso del processo
d’individuazione e del trattamento terapeutico. Ciò raramente accade
senza dolore. Dirà più tardi Jung: il
primo passo in direzione dell’individuazione è tragica colpa [...] e ad
ogni passo verso l’individuazione si produce una nuova colpa che
richiede una nuova espiazione[10].
È
il “tradimento” del figlio nei confronti della madre. Tradimento
necessario, che dev’essere “perdonato”, giacché non è possibile
individuarsi se non attraverso la separazione e distinzione, sia dalla
madre reale, sia da quella introiettata. Ma non c’è solo colpa nei
confronti della madre. Più in generale Jung afferma, infatti, che
ogni
passo in avanti rappresenta una lotta per sradicarsi dal seno materno
universale della primitiva incoscienza[11].
Questo
seno universale, questo Non-io,
comprende al suo interno anche il collettivo sociale, che per Jung
costituisce, sotto le vesti dell’archetipo della Persona (vedi
definizione successiva), una minaccia per “la tenera pianta”
dell’individualità. Anche il collettivo, come la madre, difficilmente
perdona; in questo caso la colpa è l’abbandono della Persona, quella
maschera che la società vuole, e impone, al singolo, anche quando
l’anima[12] o
il
punto di vista individuale non [...siano orientati] in senso
opposto alle norme collettive[13].
La
società condannerà facilmente il singolo ad una solitudine dalla quale
potrà uscire solo in virtù di meriti creativi particolari. A chi tale
via singolare non è concessa, non resterà che avviarsi all’isolamento
o riconfluire nella Persona. E a chi la disidentificazione
(vedi definizione successiva) dal collettivo riesce con successo, o in
via spontanea o in terapia, naturalmente con l’integrazione,
nell’individualità, delle norme collettive, è comunque accaduto di
aver superato questa prova eroica in un viaggio periglioso fa Scilla e
Cariddi, fra il pericolo di
soccombere da un lato al potere del collettivo, dall’altro
alla forza e al fascino delle immagini interiori[14].
Saranno
questi forse gli ostacoli che lo stesso Jung, negli anni bui della sua
dura ricerca (1913-1918) vivrà personalmente, diremmo quasi nella carne,
nel suo viaggio di separazione dal collettivo freudiano. Viaggio nel quale
egli incontra non solo la Persona e la Madre, ma anche molte altre figure
archetipiche: l’Ombra e la Bestia, l’Anima e l’Animus, il Senex e il
Puer. Oltre a differenziarsi dalla madre e dal collettivo, l’Eroe che s’individua deve conseguire anche la distinzione e
l’integrazione degli istinti, conseguire l’identità di genere
(maschile o femminile), integrando tuttavia il principio opposto,
conseguire lo status adulto
separandosi dal Fanciullo e
integrandolo, aiutato spesso dal Vecchio
saggio; e tutto questo senza lasciarsi affascinare dal suo ruolo
d’Eroe che conquista il tesoro (il Sé) in mezzo a mille pericoli. Il
tesoro-sé è quello che sta nel centro della sua personalità, del suo mandala,
e che rappresenta la sintesi di tutte le coppie degli opposti che ha
incontrato nel suo cammino, inconscio e coscienza, maschile e femminile,
bene e male, figlio e padre, ecc. Occorre precisare, a questo punto, che
non è estranea a Jung l’idea che la sintesi finale fosse presente anche
all’inizio (che fosse un a priori
dunque) e che questo percorso altro non sia che un solve
et coagula alchemico, una rottura e ricomposizione dell’unità.
[1] Schopenhauer, A., (1819), tr. it. Il mondo come volontà e rappresentazione, vol. II, Bari, Laterza, 1968, pag. 463 [2] Jaffé, A., (1961), tr. it. Ricordi,
Sogni, Riflessioni di C. G. Jung,
Milano, Rizzoli, 1978, pag. 241 [3] Vedi la bella espressione di Lucrezio che sembra riproporre la metafora olimpica: Qui quasi cursores vitae lampada tradunt. [4] Si pensi soltanto ai convegni di Eranos. Ad essi partecipavano abitualmente Eliade, Karenji, Zimmer, ... Insigni studiosi, tutti, che diedero a Jung, oltre che la loro stima ed amicizia, un contributo di amplificazione culturale che gli permise di dare alle sue riflessioni sulla psicopatologia varie coloriture antropologiche e religiose. [5] I testi dedicati da Montefoschi a questo tema sono principalmente quattro: La dialettica dell’inconscio (1980), Un pensiero in divenire (1985), Il sistema uomo (1985), Essere nell’essere (1986). [6] Hannah, B., (1976), tr. it. Vita
e Opere di C. G. Jung,
Milano, Rusconi, 1980, p.176 [7] “Allor si mosse, ed io gli tenni dietro”. (La divina commedia, Inferno, Canto I, versetto 136). [8]
Sassone, A. M., in Carotenuto, Trattato
di psicologia analitica 1992, vol. II, pagg. 245-246 [9] Ibidem, pag. 255 [10] Jung, 1916b; Opere, vol. VII, 1983, pag. 311 [11] Jung, (1928c), L’Io e l’inconscio, Opere, vol. VII, 1985, pag. 110 [12] Il concetto di “Anima” è in Jung l’opposto del concetto di Persona. L’Io ha la Persona come frontiera, o facciata, verso la società, e l’Anima come frontiera verso l’inconscio. La Persona è il suo atteggiamento esteriore, l’Anima quello interiore. “Più ci s’identifica con la Persona e più l’Anima rimane al buio”, dice Jacobi (1971, 1990, pag. 150). [13] Jung, (1921), Tipi psicologici, Opere, Vol. VI, 1969, pag. 464 [14] Sassone, in Carotenuto, op. cit., vol. II, pag. 255
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