TEMI DI PSICODIALETTICA a cura del Centro internazionale di Psicodialettica Caposcuola e fondatore: Prof. Luciano Rossi Responsabile del Centro: Dott.ssa Lisa Marchetta
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La dialettica del ritorno all'Uno |
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La dialettica del ritorno all'uno. di Luciano Rossi (Conferenza, Portoferraio, Isola d'Elba, 5 aprile 1995) Rompiamo, amici, lo
strapotere dei libri per evitare che questi soffochino i nostri cuori. Apriamo il nostro costato
di uomini affinché la donna possa sbocciare. Lasciamo tramontare il sole
affinché la luna possa sorgere.
Prima parte: il mito
Signore e signori, voglio provare, oggi, a raccontarvi una favola: una favola antica, che conoscete già. Ma ... ve la racconterò, forse, come voi già la sapete? No, ... naturalmente. Di questa favola tant'altri v'han dato la loro versione. Io vi do oggi la mia, al mio modo, ... un modo, mi auguro, semplice e lieve, quasi un porgere a voi "aspersi di soavi licor gli orli [d'un] vaso" che conterrebbe altrimenti soltanto i "succhi amari" e astrusi della filosofia. Ed ecco allora la favola iniziare; con il suo, spero ancor accattivante, C'era una volta. C'era dunque una volta un Giardino Fatato in cui l'uomo e la donna erano una cosa sola. In quel tempo sulla Terra camminava, con un'espressione serena, ma a volte anche pensosa, un androgino solitario. Il suo sguardo era incerto e innocente; ma era uno sguardo fuggito via, oltre l'orizzonte. Forse aveva già, fin dagli inizi, l'occhio perso e lontano del predestinato. In quel tempo egli dominava pigramente, per volontà divina, sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sugli animali della terra. E tutto ciò pareva a Dio una cosa molto buona. Dio aveva fatto germogliare per lui ogni albero gradito alla vista e aveva fatto per lui maturare ogni frutto buono. Che altro voleva, Adamo? Nulla, ... naturalmente. - credeva Dio. Il Mito però ... ci fa chiaramente intendere come l'androgino fosse, nonostante questa ricchezza di doni, lentamente diventato, col passare delle stagioni, sempre più triste. Come mai? Perché Adamo era diventato sempre più triste? Cosa c'era che non andava? Oggi che la sua vicenda si è in parte compiuta, sappiamo che l'androgino era triste perché non poteva conoscere tutto se stesso, ... era triste perché c'era una parte di lui che, nonostante tutti i suoi sforzi, continuava a non poter vedere. Il suo sguardo, come abbiamo detto, era rivolto lontano, oltre i confini del Giardino; egli non aveva ancora alcuna attitudine a guardare dentro di sé ... a distinguere le proprie parti. Non riusciva, per esempio, a metter a fuoco quella zona, dolce e buona, di se stesso che non si esprimeva nella rude e forte azione muscolare; quella zona restava ostinatamente oscura e nascosta al suo cercare. Egli non riusciva insomma a prendere, da tale zona sconosciuta, quella distanza chi gli avrebbe permesso di vederla meglio. "Forse - diceva Adamo - se potessi vederla di fronte a me, a debita distanza, fuori di me, ... forse allora ... potrei conoscerla". Finché il buon Dio un bel giorno si impietosì per la sua pena ed operò quella separazione che avrebbe permesso all'androgino di conoscere, di conoscerla ... e di conoscersi. Più tardi, nei millenni a venire, Dio si sarebbe pentito di questa compassione. Infatti, come tutti ricordate, in qualche modo, la separazione dell'uomo dalla donna finì per comportare anche la separazione di Adamo dal Padre. Dio aveva messo una parte dell'androgino in condizione di parlare da sola con il Serpente. Un guaio terribile, sembrò dapprima; un guaio che suscitò il dolore e la rabbia di Dio... il quale levò alta la sua spada fiammeggiante. Ma tutto finisce; ... anche la rabbia e il dolore di Dio. Dio avrebbe infatti prima o poi capito (o forse, nel caso di Dio, sarebbe meglio dire "avrebbe deciso") che quella che Lui aveva fatto ad Adamo era stata, dopo tutto, una cosa utile e buona. Ad ogni buon conto, per restare a noi, in quel tempo, Dio, preso da compassione, fece scendere un torpore sull'androgino, che si addormentò. Gli tolse allora una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Quando l'androgino si ridestò trovò, certo con grande sua sorpresa, la carne della sua carne di fronte a sé, come da qualche tempo desiderava. Così finisce la favola bella della nostra infanzia, il mito del benessere custodito, della protezione dolce e dorata, dei frutti succulenti e gratuiti del Paradiso perduto. In questa favola viene dapprima narrata la dolcezza triste dell'essere Uno. Uno col Padre. Uno con la donna. Uno ... anche se dormiente, ingenuo, confuso. Spensierato. Ma questo ... era durato solo fino al giorno della separazione. Giorno in cui l'Uno si divise in Due, per conoscere e per conoscersi. Per diventare grande, adulto. Per prender coscienza dell'Altro. Di quell'Altro che è, di volta in volta, la Donna, il Padre, il Serpente. Già, il Serpente; ... anche il Male era un viscere che poteva esser visto solo fuori di sé. La stessa parola mitica, che ci narra della Unità originaria e della Separazione, ci racconterà poi la nostalgia dell'infanzia e dell'unità perduta. Così l'Uomo cominciò a desiderare il Ritorno. Ma non un ritorno al Paradiso perduto e all'antica Alleanza. Ormai l'antica Alleanza non gli bastava più; essa era priva della conoscenza promessa dal Serpente e consentita dalla Separazione. Egli voleva, cercava, una nuova Alleanza, che gli consentisse di essere contemporaneamente unito e diviso. Voleva avere vicini la donna e il padre, ma esser al contempo sapiente e distinto da loro. Da quel giorno, dal giorno del desiderio e della nostalgia, cominciò per l'uomo il cammino della riunificazione. Solo se si riunisce nuovamente con il femminile, ... il maschile può riappropriarsi della parte mancante e prendere coscienza dell'Uno. È ovviamente vero anche il contrario. Anche il femminile deve riconciliarsi con il maschile se vuole uscire dalla coscienza separata. Insomma; solo riconciliandosi, ... i due possono accedere nuovamente all'unità. Solo se si riconciliano i due possono costruire un essere completo. Perché? Perché, e come, accade tutto ciò? Come avvengono questa separazione e questa conciliazione? È un viaggio sacro e iniziatico quello che porta dapprima alla separazione e poi alla riunificazione. All'inizio del viaggio i due sono insieme ma sono anche, ahimè, fusi l'uno con l'altro. Alla fine invece sono insieme ma distinti. Uniti ma soli. Fin qui dunque ... il dire mitico dell'uomo su se stesso. Cosmogonia poetica, ammaliante, che induce a seguirla fino alla dimora degli dei. Un linguaggio antico, quello del mito, al quale siamo da tempo disabituati. Intermezzo Nelle giornate di Firenze dello scorso anno tracciai, senza poterla spiegare per limiti di tempo, una delle funzioni del femminile. Parlai allora della funzione che mi stava a cuore in quel contesto. La funzione di cui parlo consiste, dissi allora, in quel raggiungimento di totalità che solo la riconciliazione degli opposti può dare. Rinunciare al conseguimento di questa totalità - aggiunsi allora - comporta, in chi lo fa, un arresto esistenziale. Chi rinuncia alla totalità si arresta alla condizione dialettica di separazione. E non procede oltre. In quella sede ipotizzai, anche, che la causa di tale arresto poteva ricercarsi nella paura che l'uomo parziale, l'uomo solo maschio, ha del femminile; paura che gli si annuncia in termini di corporeità, di materialità, in definitiva di destino biologico e mortale. Termini tutti troppo viscerali, umbratili, densi, sporchi, pericolosi, termini che le sue talora rarefatte e adamantine regioni intellettuali non possono nemmeno tollerar di guardare. Poiché lì allora mi fermai, sento la necessità quest'anno di descrivere più ampiamente la dialettica dell'unità uomo-donna; e non solo miticamente come ho fatto finora, ma anche riflessivamente così come lo consente il discorso filosofico. Le intuizioni mitiche le accettiamo senza fatica alcuna dell'anima. Ma noi moderni non possiamo, non vogliamo, fare sulle intuizioni mitiche alcun conto razionale. La sapienza antica non garantisce nulla a noi moderni. Essa è per noi, appunto, solo mito. Gli antichi apprendevano la conoscenza dai poeti. Noi moderni abbiamo perso i contatti con la poesia. Cosa è cambiato da allora, da quei tempi felici?
Oggi ... la natura ... è
vero ... ancora fiorisce - come presso a poco ci dice Hoelderlin - ancora sorride, non invecchiata, l'immagine della terra, [e del femminile] ancora ci sono i numi del Cielo, [ossia il maschile] e cioè sorgenti,
e rive, e
boschi, e alture, ancora vive l'etere, ancora si vedono i monti
sui quali un giorno dio apparve ai profeti, i monti che erano le mense
degli dei, ancora ci rallegrano i
prati su cui essi camminavano come su verde tappeto, ma oggi, ... [oggi] tutto questo, ... è immediatamente presente
solo per il poeta. Agli altri è concesso di trovarne un riflesso nella natura; ... in una natura, tuttavia, che non è più stanza ... di beati soggiorni. Ecco allora che cosa è cambiato: la natura non è più stanza di beati soggiorni; gli dei non vi soggiornano
più, il mito non vi soggiorna più.
Cosa dobbiamo farcene dunque oggi di questo linguaggio che non abita più fra noi? Che ce ne facciamo di un androgino ch'è personaggio d'altri tempi? Come li sistemiamo oggi l'androgino e il linguaggio che lo esprime? Come li sistemiamo nelle nostre strutture mentali di uomini moderni, da tempo abituati ad esprimerci col linguaggio del logos, della filosofia, del pensiero razionale? E infine. Come vogliamo far incontrare il maschile e il femminile? È per caso possibile far incontrare anche mythos e logos, che, come vedremo, possono esser considerati come il narrare femminile e il narrare maschile? Credo di sì. Credo che sia possibile. La sintesi dei due, mythos e logos, trova per esempio un suo raggiungimento nella ricerca illuminante ed appassionata della psicologia junghiana; ricerca che si situa in un territorio che è intermedio fra le sognanti regioni del pensiero mitico e i geometrici terreni di quello riflessivo. Il mythos e il logos, il pensiero mitico e il pensiero filosofico, sono i due diversi strumenti conoscitivi, i due diversi linguaggi dell'uomo. Il mito, sognante, primitivo, forse femminile esso stesso. Cellule dionisiache, oggi residuali, nel nostro cervello apollineo. Il logos, che è maschile certamente nel suo rigore sistematico. Ma che relazione esiste fra mythos e logos? Fino ad ora abbiamo visto che cosa ha detto il mito, in chiave dunque femminile, della dialettica fra maschio e femmina. Vediamo ora che cosa può dirci, di questa stessa dialettica, il logos maschile. Il logos ci parla in questo caso per triadi: ci parla di tesi, antitesi e sintesi; vede insomma la realtà evolversi attraversi tre fasi. Ma vediamo, per maggior immediatezza, alcuni modelli triadici: quello del linguaggio, quello di Adamo e di Dio, quello della famiglia, quello del femminile e del maschile. Parte seconda: il logos
Primo modello: mythos e logos In un primo tempo il pensiero e il mito coincisero; e il pensiero in quel tempo era mitico. Successivamente il pensiero si separò dal mito e prese una strada diversa; questa strada fu chiamata logos. E il logos cominciò a leggere il mondo in una maniera nuova. Ma rischiò di perdere così le proprie radici. È giunto forse oggi il tempo, per l'umanità, in cui mito e logos si possono reincontrare attraverso una sintesi capace di verità oltre che di bellezza.
Secondo modello: Adamo e Dio In un primo tempo Adamo e Dio vivevano insieme nel Paradiso terrestre in una perfetta fusione. Ci fu una lunga stagione poi ... in cui vissero separati affinché Adamo potesse conoscere la opposizione del bene e del male. Ci fu infine un tempo in cui venne un Uomo che ricondusse Adamo dal Padre. Terzo modello: Padre e figlio In un primo tempo il figlio abita la casa dei genitori e vive in simbiosi con loro. Ma viene un giorno ... in cui il figlio se ne va verso la vita e separa la sua legge dalla legge del padre. Costruisce la propria casa, con pietre diverse dalle pietre del padre. Ma sopraggiunge spesso la possibilità per il figlio di riconoscere dentro di sé la forza della proprie radici; e allora egli le accoglie nuovamente in sé. Per lui onorare il padre dal quel giorno significa raccogliere la sua eredità ed andare oltre portandolo con sé. C'è sempre un tempo in ogni cosa ... in cui c'è l'Uno. C'è sempre un tempo in ogni cosa ... in cui dall'Uno si separa l'Altro. C'è sempre un tempo in ogni cosa ... in cui i due ritornano ad essere Uno. È la grande Triade ... che pretende di descrivere tutto il reale.
Così ... arriviamo alla quarta coppia: l'uomo e la donna. Ci fu dapprima un tempo in cui Adamo fu uomo e donna; e i due erano un solo corpo, il primo androgino. Ci fu un tempo poi ... in cui la donna fu separata da lui, dal suo costato, affinché i due si conoscessero e sapessero della loro differenza. Ci fu un tempo infine in cui i due ritornarono ad essere un corpo solo per ricercare l'unità perduta nella carne. Ora forse è tempo che i due siano di nuovo Uno anche nello spirito. Che i principi maschile e femminile diventino Uno in sé stesso distinto. Una serie di grandi triadi ritmicamente eguali fra loro: ecco come il filosofo sistema, con tesi, antitesi e sintesi, il retaggio del poema mitico! Il filosofo mette ordine e sempre cerca di estrapolare dalla narrazione un momento di tesi e lo descrive per primo, un momento di antitesi e lo descrive per secondo, un momento di sintesi e lo descrive per ultimo. Terza parte: Il nuovo linguaggio Abbiamo visto la stessa vicenda descritta prima dal poeta e poi dal filosofo. Che differenza c'è fra le due descrizioni? Il filosofo ha giurato a se stesso d'esser chiaro e coerente. Il poeta vuole solo esser fedele alla passione del simbolo. Entrambi descrivono la sintesi tra femminile e maschile. Ma questa sintesi, per essere convincente ed effettivamente tale, abbisogna anche di un ambiente unitario e di un linguaggio nuovo, comune. Richiede perciò anche che si faccia la sintesi fra poeta e filosofo ... che nasca con essa un terzo narratore. Fra i due modi, quello del poeta e quello del filosofo, c'è infatti una terza via: quella del filosofo-poeta, che produce interpretazioni creatrici di senso, che è fedele alla passione, ma resta, al tempo stesso, fedele al giuramento del filosofo, che è quello di comprendere. Realizzare la sintesi sarebbe impresa disperata se il simbolo poetico fosse radicalmente estraneo al discorso filosofico. Ma fortunatamente il simbolo abita già nella parola, nel discorso, e ciò sottrae il sentire mitico al silenzio e alla confusione. Dunque il mito è capace di preparare alla filosofia. La symbole donne a penser, ci ha insegnato Ricoeur. E la filosofia è capace di fare ordine nel mito. Visto che riteniamo possibile una risposta è venuto allora il momento di chiederci che cosa ci dice, questo narratore ultimo, della sintesi fra maschile e femminile? Questo narratore, questo poeta-filosofo, per compiere la sua opera, offre al lettore metafore dotate di senso, con simboli ordinati, in strutture linguistiche dove l'ordine è bellezza e la favola è verità. Questo androgino finale, ... solare e levigato, ... geometrico e appassionato, è come un fiume dalla sponde fiorite in cui scorre, con moto lento e armonioso, un nettare lucente. È poeta e
filosofo ad un tempo, nel dir di sé d'essere, ad un tempo, e maschio e
femmina, e padre e figlio, e pensiero e realtà.
E' poeta e filosofo nel metodo; è maschio e femmina (oppure padre e figlio, oppure ancora
pensiero e realtà) nella sostanza. Le solide, definite, eppur fiorite, sponde del fiume sono la indicazione del movimento, la direzione da prendere, la guida maschile offerta al femminile liquido fluente; le sponde sono il maschile uscito dalla stagnazione del controllo ed entrato finalmente nella mobilità, scorrevole e dolce, dell'azione fiduciosa. Il nettare, che scorre dentro il fiume, è la vita stessa, la vita femminile che giustifica l'esistere medesimo, altrimenti inutile, delle sponde maschili. Il femminile uscito dall'immobile ristagno della passività ed entrato nel flusso perenne dell'azione. La prima fase non c'è più. Quello che era stato all'inizio il movimento scomposto, inconcludente e passivo, di un androgino che non sapeva di se stesso, non è ormai che il lontano ricordo di una prima fase arcaica, unitaria se volete, ma ignara ed errabonda, che contraddistingue ogni origine. Anche la seconda fase è superata. Il controllo pietrificante di un uomo solo maschio e la passività pietrificata di una donna solo femmina non sono ormai che il lontano ricordo di una temporanea fase di separazione. Con la sintesi siamo nella terza fase. Il fiume luminoso dalle dolci curve fluenti e ordinate è il simbolo attuale e vivente del futuro, ... rappresenta la geometria delle passioni, il segno di un secolo d'oro che forse verrà per chi può comprendere che l'ordine dev'essere bellezza e la favola verità, ... per chi comprende che lo scorrere femminile può accadere all'interno della legge maschile ... e che il maschile può smettere di controllarsi e può lasciarsi andare alla felice scoperta ... dell'affidarsi, senza paura, al proprio scorrere. Rifiutare ad uno dei due di accedere all'unione o tenerlo separato dall'altro è come avere in una regione un alveo vuoto e in un'altra regione un'acqua che scorre senza sponde, inondando e dilavando. E questo è anche un modo, forse, per sottrarre la terra allo strapotere dell'Intelligenza e riconsegnarla in parte alla bellezza dell'Amore. Affinché tutto sia
completato, forse dobbiamo allora rompere, amici, lo strapotere dei libri
per evitare che questi soffochino i nostri cuori, forse dobbiamo lasciar
tramontare il sole affinché la luna possa sorgere, forse dobbiamo,
infine, aprire il nostro costato di uomini affinché in noi la donna possa
sbocciare.
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