La coscienza non è un'entità statica, ma qualcosa che diviene, che si evolve. C'è una coscienza iniziale, che ci è data dalla natura, e una coscienza finale, la cui costruzione il soggetto può porsi come compito. Ciascuna di esse, la coscienza iniziale e quella finale, così come ogni coscienza intermedia, intrattiene col "mondo" un differente tipo di relazione.

Il cammino evolutivo della coscienza inizia e si realizza perché il naturale-dato sente fortemente la sua inadeguatezza e chiede per sé una diversa "natura"; e, per realizzarla, pone in opera da se stesso, per completare il compito della creazione, un ulteriore sforzo "naturante". Lo sforzo naturante ha nella nostra visione una caratteristica costruttiva dialettica.

La coscienza naturale ha un forte desiderio: quello di sottomettere la propria imperfetta natura al bisogno di evolversi. La propria natura naturata, così com’è, appare insufficiente, non adeguata ad una vita culturalmente evoluta di cui già la coscienza iniziale intuisce la concreta possibilità. La coscienza desidera essere più ampia, più evoluta ed avere con la non-coscienza relazioni sempre più profonde e chiare.

L’adeguamento della coscienza naturale al suo proprio desiderio (adaequatio rei ad intellectum) è uno sforzo naturante e lo si ottiene, nel nostro modello, per il tramite della mediazione di un lavoro psichico, di un’opera trasformativa. Un esempio adeguato di tale lavoro psichico è senz'altro quella particolare evoluzione delle relazioni della coscienza, operata dall'auto-formazione dialettica che proponiamo in queste pagine. 

Il nostro costruttivismo dialettico sostiene che quella realtà che noi siamo è costruita da noi in modo dialettico, attraverso tesi, antitesi e sintesi. Questo ci riconosce, è vero, grande capacità trasformativa, ma allo stesso tempo ci attribuisce un'alta responsabilità evolutiva e c'invita eticamente al lavoro e al cammino.