TEMI   DI   PSICODIALETTICA

a cura del

Centro  internazionale  di  Psicodialettica

 

Fondatore e caposcuola:   Prof. Luciano Rossi

Responsabile della terapia:   Dott.ssa Lisa Marchetta




IL DOCUMENTO FONDATIVO
DELLA NOSTRA DISCIPLINA. (1989)

 

Indirizzo terapeutico    .     Indirizzo iniziatico    .     La via dei quindici passi        

La vita    ...     e le opere del fondatore  




 

ARTIFEX, ARTIFEX SUI
(Documento fondativo della PSICODIALETTICA)
© Luciano Rossi, Urbino, 1989

"Se noi intendiamo, come fa Herbert Simon ne La scienza dell'artificiale, con il termine "naturale" ciò che vien creato e conosciuto solo da un principio trascendente, e intendiamo con il termine "artificiale" ciò che può venir costruito (o modificato), pensato e conosciuto anche dall'uomo, diviene evidente come tale definizione racchiuda la possibilità da parte dell'Essere, di costruirsi da sé attraverso il progressivo conoscersi.

Fondandosi su tale idea costruttiva, proponiamo una nuova disciplina di Filosofia dell'Artificiale che afferma come "l'evolversi dell'anthropos assuma via via successive e sofisticate configurazioni artificiali che si autocostruiscono soprattutto attraverso processi di analisi e processi di sintesi alternantisi fra loro". Si ritiene perciò che questa dialettica della coscienza, o "psicodialettica", come abbiamo deciso di chiamarla, abbia una struttura quinaria quale quella individuata da Hegel. La "coscienza", di cui l'inconscio è l'altro, non è la presenza a sé, l'appercezione di un contenuto, ma l'attitudine a rifare il percorso delle figure dello Spirito.

Preghiamo i lettori e gli ascoltatori di prendere atto di questa definizione assolutamente nuova, e altra, del termine Artificiale, che qui diventa l'umano e il sacro; lo "spirito" insomma, come vedremo. Comprendiamo come sia difficile abbandonare l'idea abituale di artificiale, che tutti noi abbiamo, come oggetto materiale, tecnologico, con tutta la sua concretezza, appunto artificiosa, addosso. Chiediamo dunque di lasciare entrare lentamente il nuovo, il totalmente diverso. In fondo si tratta solo, o in gran parte, di una omonimia necessaria.

La storia del processo di evoluzione dell'autocoscienza è dunque una storia di continue e successive "negazioni". Nel procedimento cosiddetto analitico si tratta di togliere l'eccesso di dati dalla realtà naturale e, proiettandoli all'esterno, di farne dei fenomeni onde farli apparire, vederli, e riconoscerli come propri. Nel procedimento cosiddetto sintetico si tratta di negare, in quanto esterne, le parti riconosciute e di riprenderle su di sé. Il resto, non essendosi ancora esternato (o fatto fenomeno) oppure non essendo ancora stato riconosciuto come proprio, resta sconosciuto e misterioso; resta "cosa" solo pensata, in quanto è cosa che resta in sé, che non viene proiettata, ma che pensiamo tuttavia esista in profondità e che, forte del suo carico d'ombra, ci guardi dall'abisso del nostro Essere.

Non possiamo concordare con chi afferma la non esistenza della cosa non conosciuta in base alla semplice ed arbitraria decisione di far coincidere il pensare con il conoscere. Tale affermazione porta infatti all'ovvia conseguenza che, se la cosa pensata non si può conoscere, non si può nemmeno pensare che esista. Per poter ammettere l'esistenza di tale realtà bisogna distinguere allora il pensare dal conoscere. Bisogna affermare che, per conoscere una cosa, occorre determinarne molte caratteristiche; bisogna affermare altresì che pensarne la sola esistenza non è affatto sufficiente a conoscerla; serve solo a sapere che c'è ma non a sapere com'è.

Questa divagazione potrà sembrare forse un po' lunga, ma essa è indispensabile per definire l'ambito della nostra idea di Artificiale, per dire, da un lato, che non tutto è artificiale e, dall'altro, che cosa non lo è. È indispensabile per dire che è artificiale solo ogni cosa che possiamo conoscere; ma che non tutto è artificiale dal momento che c'è un residuo inconoscibile.

Nei saggi che compaiono in questa piccola raccolta si vuol dare dell'Artificiale un'immagine del tutto diversa da quella consueta. Si vogliono recuperare il suo significato di Opera d'arte, la tensione eroica del suo sforzo interiore, l'aspetto gnoseologico del suo desiderio, il mandato etico del suo mediare ininterrotto fra dato e desiderato, il carattere prima interiore che esterno del suo cammino, l'aspetto prima simbolico che tecnico della sua produzione esterna ed oggettiva. Si vogliono fare emergere, attraverso la considerazione di aspetti insoliti di esso, una figura di Artificiale che possiede una collocazione ed una valenza che, nell'intendere comune, non vengono abitualmente riconosciute.

Riflettendo sulla scia di Hegel [Enciclopedia, #79], possiamo dire che il naturale si arresta ad un primo stadio dell'Essere, quello dell'identità a sé stesso. L'umano invece, accedendo ad un secondo stadio, che è quello della negazione razionale, crea un diverso dal naturale, ossia un artificiale. Si tratta di un oggetto essenzialmente nuovo che contiene in sé gnosi, etica e azione. Questo artificiale si eleva sopra il naturale e si identifica dunque con l'umano che conosce l'identico (il naturale) ed è libero di modificarlo. Il nuovo possiede ancora tutte le determinazioni dell'identico che sono state negate, ma esse non sono più immediate, date e immodificabili; sono al contrario mediate, individuate, differenziate e in divenire. L'umano, usufruendo della proiezione, si nega come naturale (diviene non-N) e si afferma come artificiale (diviene A).

L'equazione A = non-N ci dice che l'artificiale è costruito con un "non" e ci dice che, per costruire l'artificiale, occorre negare qualche cosa. Questa capacità, che è solo dell'umano, è per Hegel un momento dialettico. Si dice infatti nell'Enciclopedia [#79]: "La logicità, considerata secondo la forma, ha tre aspetti: a) l'astratto o intellettuale; b) il dialettico,o negativo-razionale; c) lo speculativo o positivo-razionale".

Il secondo momento, quello dialettico o negativo, viene da lui definito poco dopo nel modo seguente [#81]: "Il dialettico è il sopprimersi da sé di siffatte determinazioni finite e la loro trasformazione nelle opposte".

Il processo di conoscenza trasforma effettivamente il reale facendone un "trasformato", dunque un artificiale. L'uomo che conosce è negatore, nel momento conoscitivo, di ogni cosa data ed è conservatore della medesima cosa negata, entro forme nuove e diverse, determinate dall'atto del conoscere. Le parole della nostra conoscenza stanno entro queste forme, entro questi contorni, e fanno parte dell'artificiale che esse stesse hanno costruito a loro immagine e somiglianza. L'oggetto artificiale è manifestazione del progetto; la conoscenza, o progetto, è pensiero rivelato dal suo risultato visibile, dalla realizzazione del progetto medesimo, dall'esistenza, fattasi manifesta, dell'oggetto artificiale.

L'Artificiale interno è il conosciuto, divenuto tale solo tramite i suoi contenuti proiettati; ma tale conosciuto interno è artificiale non solo perché il pensiero che lo produce è conoscente, ma anche perché è etico. Anche l'etica dunque, come la conoscenza conoscente, modifica le nostre conoscenze conosciute perché fa aderire i processi del pensiero ai propri fini. Ci sono dunque due artificiali: un primo artificiale interno ed un secondo artificiale esterno generato dal primo. Fra loro esiste un rapporto genetico e un rapporto gerarchico. Il loro livello è diverso: il primo può generare il secondo, mentre il secondo può solo manifestare o rivelare l'esistenza del primo.

L'Artificiale esterno è l'oggetto della tecnica ed è una realtà che si genera per un bisogno di adæquatio rei ad intellectum, perché le cose siano secondo i nostri desideri, i nostri pensieri, la nostra etica. L'Artificiale interno, da un lato, è "conoscenza conosciuta" e come tale è un aspetto filosofico-psicologico del singolo individuo; dall'altro è invece il sacro, il mito, il pensiero religioso dell'intera umanità.

I concetti di conoscenza, di etica, di sacro, di soggetto e di fine andranno sviluppandosi attraverso i loro strumenti e processi, che sono la proiezione, il progetto, il riconoscimento e la prassi intersoggettiva. Questo contributo ad una possibile filosofia dell'Artificiale viene ad inserirsi in un quadro, oggi prevalente, dominato dalla scienza dell'Artificiale.

Una lettura, indubbiamente sommaria, di tale quadro, e dei suoi prodotti più mostrati ed eclatanti, ha potuto provocare una limitazione, nell'intendere comune, del concetto di Artificiale, poiché oggi questa realtà è venuta prevalentemente a coincidere con la robotica, l'informatica e le tecnologie avanzate in genere.

In realtà le cose non sono nate precisamente in questi termini. Infatti nell'opera fondamentale di tale scienza, il piccolo volume di Herbert Simon, Le scienze dell'artificiale, che venne pubblicato nel 1969, si pone la distinzione fondamentale fra fenomeni naturali e fenomeni artificiali sulla base seguente: i primi hanno un aspetto di necessità nel loro esser rigidamente vincolati ad un'inderogabile obbedienza alle leggi naturali, i secondi un aspetto di accidentalità a causa del loro esser plasmabili da fini ed obbiettivi umani.

Quella che, in generale, non è stata rilevata a sufficienza è l'importanza che assume il carattere teleologico, pur evidenziato da Simon con esplicita chiarezza. Noi pensiamo che una riflessione sulla teleologia dell'artificiale potrebbe forse porre rimedio alla lettura riduttiva di una intera classe di fenomeni.

Anche se non è il nostro proposito principale, ci auguriamo tuttavia che questa ricerca possa contribuire in qualche modo ad evitare la limitazione dell'artificiale al solo mondo degli oggetti e a farne pure scoprire non solo la genesi concettuale ma addirittura le funzioni gnoseologica ed etica. L'artificiale è stato assunto da noi a volte nell'accezione di umano, a volte in quella di spirituale ed ha ai nostri fini un interesse superiore a quello che proviamo per il naturale.

Per noi l'Artificiale è infatti il conoscersi e l'automanifestarsi dell'immanente, per fini gnoseologici ed etici. Così come il naturale è l'autoprodursi del trascendente per fini che all'immanente non è dato conoscere.

In questo contesto, ancora legato ai "segni" della terra, appare di minor valore e di minore interesse una teleologia naturale, che non lascia vedere i suoi disegni, rispetto ad una teleologia umana alle prese con la sfida della trasformazione dell'essere. E quindi anche il trascendente appare di minore interesse pratico rispetto ad un immanente (o ad un artificiale) quale è lo spirito nella lotta per appropriarsi di sé, vale a dire nella lotta per il proprio manifestarsi nell'atto e nell'appropriarsi di tale manifestazione.

Solo alla fine della storia, ammesso ma non concesso che tale evento possa realizzarsi, il trascendente potrà assumere, attraverso la lotta e il dolore dell'immanente, completa manifestazione, traducendo in "essere" tutta la sua potenzialità dapprima "racchiusa" misteriosamente nella natura. Lo spirito agisce trasformando la potenza in atto e quindi il naturale in artificiale. Lo spirito spontaneamente trasforma la realtà da completamente naturale a totalmente artificiale.

Quindi, se ad un dato momento l'artificiale è ciò che fino ad allora lo spirito ha già trasformato in atto, durante il cammino della storia l'artificiale medesimo è separato dalla totalità dell'essere, che all'inizio era totalmente naturale, da uno scarto che si va colmando; alla ipotetica fine della storia, quando tutta la potenzialità si fosse manifestata, naturale e artificiale (ossia potenzialità e manifestazione) finirebbero per sostituirsi. Tutto diverrebbe artificiale.

Anche ammettendo la concreta possibilità di una fine della storia, che per noi è il compimento dell'opera dello spirito impegnato a trasformare la potenza in atto, tale esito è da ritenersi auspicabile? In altre parole è sempre auspicabile che il pensato venga conosciuto, che il potente "agisca" tutto se stesso, rivelando tutto di sé?

Note.

1. Questo documento, soggetto a rigoroso copyright e depositato nel 1989 a Urbino per la partecipazione al Convegno internazionale di Scienze dell'Artificiale di Lugano dell'anno successivo, fu considerato appartenere non ad una Scienza, ma piuttosto ad una Filosofia dell'Artificiale, disciplina che ancora non esisteva. Fu salutato quindi come la posa della prima pietra di una nuova disciplina e si propose di chiamarla Psicodialettica. L'idea ha un debito di riconoscenza con Silvia Montefoschi che nel suo volume G.G. Jung. Un pensiero in divenire proponeva di ravvisare nella vicenda psichica uno svilippo simile a quello della Fenomenologia dello spirito di Hegel.

2. Scritta del 1989, pubblicata come working paper dall’IMES di Urbino, e letta poi al Congresso di Lugano nel 1990 la relazione congressuale è stata inserita nel 1992, con notevoli integrazioni, nei capitoli primo e sesto del volume Luciano Rossi, Negazioni, Quattro Venti editore, Urbino.

Copyright 1989 - Luciano Rossi- All Rights Reserved




          

   

In queste immagini i frontespizi delle opere che fondarono la nostra disciplina:
Negazioni (Quattro Venti, 1992), Psicodialettica (Quattro Venti, 1994)

 

 

 

 


Tutto teso al sereno lavoro su di sé, alla tranquilla opera di autoliberazione dal materiale grezzo che lo imprigiona e rallenta, l’Artifex sui ha l’occhio fisso solo alla punta del suo scalpello.

 

Sente, è vero, attorno a sé il fervore dell’Opera dei compagni intenti alla loro pietra, ma non si distrae, non commenta, non li corregge. Neppure per un attimo cessa di guardare l’Opera sua.



 

Il nostro sito, dopo questa introduzione fondativa, si divide in tre sezioni come già indicato nel menù. Di queste la prima, CENTRO CEPSID, è dedicata all'aspetto professionale. La seconda, NUOVI INDIRIZZI, è volta a percorrere nuove vie di ricerca interdisciplinari. La terza, TRA SCIENZA E FILOSOFIA MORALE, affronterà lo scoglio della validazione metodologica.


Recentemente qualche collega ha iniziato a chiamare Psicodialettica la sua terapia. Nulla a che fare con noi; ci ha semplicemente copiato il nome.


 


    

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