TEMI   DI   PSICODIALETTICA

a cura del

Centro  Internazionale  di  Psicodialettica

 

Fondatore e curatore: Prof. Luciano Rossi

Responsabile del Centro: Dott.ssa Lisa Marchetta

 


  

Il contesto della giustificazione



 

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Psicodialettica: il contesto della giustificazione

di Luciano Rossi




In trent’anni e più, da che è nata la psicodialettica, credo di non avere quasi mai abbandonato il contesto della progressiva scoperta, che si andava man mano arricchendo di nuovi passi, e di non essere mai entrato, o solo sporadicamente, nel contesto della giustificazione di quanto andavo elaborando.

Cosa andavo facendo dunque? Seguivo alla cieca un flusso di coscienza o ero guidato da uno scopo di cui fossi consapevole? Sì, uno scopo lo avevo: cercavo una via di felicità per me e il modo per trasmetterla a chi era disposto ad accoglierla.

Cercavo un progetto di vita e un programma che funzionassero, che raggiungessero un risultato che si andava via via precisando giorno dopo giorno. Quelle che facevo erano riflessioni sulla condotta della vita, ma il mio proposito era che conducessero ad una buona vita condivisa.

Questa buona vita che avevo in mente non era una vita sempre uguale, completa già dal primo giorno. Era un percorso in evoluzione fatto di tappe successive, come gradini che montassero uno sull’altro. La successione non poteva essere casuale. Non potevano essere quindici buone tappe da farsi seguendo un ordine qualsiasi. Come doveva procedere la mia sequenza ottimale? Ma, ancor prima, che finale immaginavo? Com’era questa persona finale che volevo realizzare? Queste erano le domande che avrei dovuto pormi.

E ancora: la mia ricerca anelava ad una vita libera dal dolore? Era volta al bene, mio e degli altri? Aveva un fine nobile o si occupava solo al mio benessere? Le domande erano moltissime, e forse solo oggi, in contesto di giustificazione, me le pongo con lucidità.

Anche le questioni morali correlate ad una buona vita sono tante: virtù, felicità, libertà, volontà, dovere, autonomia, ragione, sentimento, responsabilità, e tutte, tutte chiedono di essere ascoltate e introdotte nel processo. Sono sicuro di sapere che cosa è il bene? Sono, o no, ibero e autonomo nel decidere il mio comportamento? Di conseguenza quanto sono responsabile delle mie scelte di vita? Qual è il movente delle mie azioni? Chi è a guidarmi? La ragione o il sentimento? La libertà o la responsabilità?

Una cosa è certa: eravamo entrati nel campo della vita pratica o morale. Si è soliti chiamare queste questioni col nome di filosofia morale, ma ancora non usamo questo termine. Eravamo genericamente ma tenacemente volti al bene dell'individuo e della società, ma eravamo ancora privi di una identità esplicitamente dichiarata.

Non era sfuggito nemmeno all'inizio che la Psicodialettica fosse una filosofia morale, ma gli accenni in tal senso, che pure non mancarono, erano saltuari e privi di un accurato ed approfondito sviluppo. L'azione e la virtù erano ben presenti e fissati come due caposaldi del "triangolo" buddhista (virtù, conoscenza, pratica) da noi adottato nel terzo viaggio.

Oggi, nel 2021, riteniamo che la nostra "ragion pratica" non venga più trattata soltanto con anima orientale, ma appartenga alla nostra cultura occidentale. Da Socrate in poi.

Le prime domande che allora, a questo punto, la psicodialettica, in quanto autodichiaratasi filosofia morale, deve porsi sono essenzialmente due:
Che cosa è il bene?
Quali sono le azioni efficaci per realizzarlo?

Occorrerà esporsi alle difficili ma ineludibili scelte che ogni autore prima di esporre la propria tesi deve fare: definire i propri termini ed esporre il suo piano d'azione.

Che definire i propri termini o concetti a modo proprio, ancorché nuovo, sia un diritto di ogni autore è materia assodata. Si tratta di un proprio diritto-dovere. Per tutto il corso della esposizione il lettore dovrà usare quelle definizioni date, pena il non comprendere correttamente o attribuire al filosofo tesi non sue.

Quanto al piano d'azione, che nella filosofia morale non è disgiunto dal pensare, si dovranno poi chiarire tutte le tappe (per noi sono i quindici passi)ed esporle nell'ordine cronologico in cui devono essere sequenzialmente attuate da chi aderisce a quelle definizioni e a quel percorso d'azione.

In tale progetto l'uomo diventa un processo ascendente. Non è possibile cambiare né sé né il mondo se il singolo è vincolato inesorabilmente al suo passato. L'ideale sarebbe che la trasformazione fosse una volontà collettiva dove ogni individuo si collega con coloro che vogliono un simile cambiamento. Ma, anche in assenza di un'azione corale, sappiamo che il lavoro individuale si propaga attorno, si diffonde e porta a un miglioramento che va oltre l'individuo.

Come la farfalla di Lorenz, quando sbatte le ali, suscita effetti lontani, così chi agisce i quindici passi non lascia indifferente il mondo. Se meditassi anche io solo non lo farei invano.




 

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