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TEMI DI PSICODIALETTICA a cura del Centro internazionale di Psicodialettica
Fondatore e caposcuola: Prof. Luciano Rossi Responsabile della terapia: Dott.ssa Lisa Marchetta |
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I concetti del processo d'individuazione |
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I
concetti del processo d'individuazione
di Luciano e
Roberta Rossi
Quali sono per Jung i significati che dobbiamo attribuire ai concetti ricorrenti nella sua esposizione del processo d'individuazione?
Partiamo dall’idea stessa di processo. Dice il Pieri che, in una delle sue accezioni, la seconda per lui, il termine “processo” può essere inteso come
[...] il divenire e lo sviluppo. In questo senso si parla di “processo d’individuazione” e di “processo psichico”, ma anche
di “processo istintuale”[1]. Come accadde per Jung dal 1913 al 1918, egli immagina che in generale il Processo sia un viaggio, con un inizio e una fine, sia pure provvisoria.
Un viaggio che egli iniziò con una separazione, e che si concluse con il ritrovamento del Sé, unica e preziosa individualità. Più largo spazio
si deve riservare, certamente, al termine individuazione. Dice, di esso, il Pieri:
Concetto centrale della psicologia analitica con cui s'intende genericamente il divenire della personalità, e in particolare il processo
di continua trasformazione di un'individualità che viene psichicamente a costituirsi in riferimento a una sostanza comune o collettiva[2].
Il Pieri riferisce ampiamente come il termine sia, da Jung, tratto dall’ambito filosofico che precedette il suo tempo. In tale contesto
culturale il concetto indicava il lento formarsi del singolo, non più divisibile, “a partire da una sostanza comune[3]”, dividua.
Esiste dunque una sostanza collettiva “prima e oltre gli individui stessi[4]” da cui un nucleo, un brandello si può staccare ed individuarsi.
La domanda che, più che altro, la filosofia si era posta riguardava il processo capace di formare “questa specifica sostanza[5]”
da “una sostanza comune[6]” a tutti gli individui.
Il problema ricevette molte risposte. Per Avicenna il principio d'individuazione è la materia. Anche san Tommaso dà una risposta simile;
per lui il principio è
quella materia comune laddove essa è signata e cioè considerata, come egli dice, «sotto determinate dimensioni»: e cioè, un uomo è
«questo uomo» in quanto unito a un corpo che lo determina nello spazio e nel tempo[7].
E se una soluzione simile verrà proposta anche da Schopenhauer, per San Bonaventura invece “l'individualità dipende non soltanto
dalla materia delle cose ma anche (e soprattutto) dalla loro forma”[8]. Duns Scoto afferma poi che
tra individui della medesima specie intercorrono legami che si esprimono nella loro natura comune composta di materia e forma, e proprio
a partire da questi è possibile pervenire alla singolarità[9].
A partire da questi elementi che certamente conosceva, Jung utilizza questo termine proprio per problematizzare l'antico presupposto che la costituzione dell'individualità sia data a partire
dagli elementi comuni. Di questi, non accetta una priorità ontologica della sostanza comune e fondamentale, e ne ricerca una soluzione di
tipo epistemologico. Comunque, egli considera la natura psichica individuale e quella comune o collettiva in un rapporto di mutua inclusione
e di reciproco rinvio, e per designare tutto questo utilizza l'espressione “processo d'individuazione”, inteso come l'articolazione di due
sottoprocessi complementari che vengono chiamati differenziazione e integrazione. Il primo sottoprocesso indica, in generale, sia la distinzione
di una parte psichica rispetto a un'altra e a un tutto [...], sia lo sviluppo della parte o meglio l'ulteriore differire delle differenze
che erano state ottenute nell'atto distintivo stesso. In modo altrettanto generale, il secondo sottoprocesso designa invece la connessione
delle parti psichiche tra loro e la loro connessione con un tutto non sintetico (e cioè con un tutto che, per così dire, rammemori o sia
consapevole di essere costituito di parti differenti che, in un certo senso, hanno consentito la sua composizione). In particolare,
il termine “differenziazione” (Differenzierung) rinvia al fondamentale problema psicologico della costituzione dell'altro da sé e della
determinazione qualitativa dell'alterità, e il termine “integrazione” (Integration) rinvia invece a un altro fondamentale problema psicologico,
che è quello della relazione tra due elementi che, pur nella loro interazione, rimangono essenzialmente distinti[10].
Per individualità intendo la natura specifica e particolare dell'individuo sotto tutti gli aspetti psicologici. Individuale è tutto ciò che non è collettivo,
dunque ciò che appartiene solo a un singolo e non a un gruppo maggiore di individui. Difficilmente si potrà affermare il carattere individuale degli elementi
psichici, ma probabilmente solo del loro raggruppamento e della loro combinazione particolare e specifica[13]. [...] [L'individualità è anche]
un'irripetibile combinazione o graduale differenziazione di funzioni e facoltà che in sé e per sé sono universali. Ogni volto umano ha un naso,
due occhi ecc., ma questi fattori universali sono variabili, ed è questa variabilità quella che rende possibili le caratteristiche individuali[14].
L’individualità quindi va colta “insieme e non contro (né oltre: né prima né dopo) l'universalità o [la] generalità[15].
Così la psicologia per Jung deve valorizzare entrambi i caratteri, quello personale e quello collettivo.
Anche il significato d’individuo richiede un’attenta lettura del termine. Secondo il Pieri, cui faremo costante riferimento in questa introduzione,
il termine è usato in tre accezioni differenti, per cui indica: 1) ciò che non può essere ulteriormente distinto in un determinato processo analitico;
2) ciò su cui non si possono fare affermazioni in modo assoluto e definitivo; 3) ciò che è singolare e determinato, in riferimento a una natura o sostanza
comune. Nei primi due significati il termine è assunto in una prospettiva statica, nel terzo è invece assunto in una prospettiva fondamentalmente dinamica[16].
Nel suo primo significato, di non-più-divisibile, Jung parla d’individuo “indiviso in se stesso”, ma “diviso da ogni altro essere[17]”.
Costituitosi come in-dividuo, l’uomo, non essendo più dividuo, non può ulteriormente dividersi, ma può trasformare la sua individualità in un'altra,
se ricorda il processo che lo aveva generato come singola entità. Se vorrà fare questo, l'uomo si troverà nuovamente “diviso in se stesso e simultaneamente
unito ad ogni altro essere”.
E proprio ritornando allo stato di indistinzione originaria, ossia all'inizio dell'opera analitico-scompositiva in cui appunto la sua precedente individualità
aveva cominciato a prodursi, l'uomo potrà ripetere una dolorosa differenziazione da ogni altro da sé, e costituire in sé stesso una nuova unità psicologica
individuale[18].
Individuo vuol dire essere singolo. L'individuo psicologico è caratterizzato dalla sua psicologia particolare, e, sotto un certo aspetto, irripetibile.
La natura specifica della psiche individuale appare non tanto nei suoi elementi quanto piuttosto nelle sue strutture complesse. L'individuo (psicologico),
o l'individualità psicologica, esiste inconsciamente a priori; coscientemente invece [esiste] soltanto nella misura in cui sussiste [...] una consapevole
differenza da altri individui. Insieme con l'individualità fisica, e come suo elemento correlativo, è data anche l'individualità psichica, però, come si è
detto, dapprima inconsciamente. Per rendere cosciente l'individualità, ossia per trarla fuori dall'identità con l'oggetto (s’intenda il mondo o
il collettivo, ndr.), v'è bisogno di un processo cosciente di differenziazione: l'individuazione[21].
La conquista dell’individualità richiede, come abbiamo detto, l’abbandono sia della Persona, supina adesione alla livellante pretesa sociale, sia
dell’identificazione con il collettivo. Quanto entrambe siano contrarie ad una corretta individuazione lo si può evincere dalle definizioni stesse
dei due termini. La Persona, infatti, è termine latino indicante la maschera che l'attore teatrale, sia comico che tragico, appoggiava al proprio
volto nel corso della recitazione. Lo stesso termine latino ricorre nel testo junghiano per designare indifferentemente: a) un aspetto della personalità,
e più precisamente il rappresentante più cospicuo della psiche collettiva esterna o mondana che si trova all'interno della personalità stessa;
b) una struttura della psiche, e quindi una delle subpersonalità che ruotano intorno all'Io, la cui relazione con l'Io stesso muta continuamente
nel corso della vita; c) l'immagine che l'individuo mostra all'esterno, e in quanto tale uno degli aspetti più esteriori dell'individuo stesso;
d) il ruolo o lo “status sociale” dell'individuo nelle relazioni con il mondo (culturale e sociale), e quindi l'aspetto che egli assume nelle relazioni
con la cultura e con la società; e) l'adattamento dell'individuo a ciò che è collettivo, e cioè l'atteggiamento che l'individuo mostra in risposta
agli altri e alle situazioni date, per adattarsi all'ambiente e agire in esso; f) l'individuo definito attraverso i rapporti che intrattiene
con gli altri, e quindi l'individuo nella sua, per così dire, “visibilità” agli altri; g) l'insieme degli atteggiamenti convenzionali dell'individuo
in quanto appartenente a una tradizione, per cui si evidenzia nei differenti pregiudizi che l'individuo manifesta rispetto agli altri, colti,
a loro volta, come appartenenti ad altre tradizioni; h) l'involucro delle modalità espressive, dei sentimenti e dei pensieri di cui l'individuo
è rivestito nel rapporto che intrattiene con gli stereotipi giacenti nella (e, insieme, veicolati dalla) psiche collettiva, conscia e inconscia,
e cioè la mediazione tra l'irriducibile individualità di ciascun singolo e l'altrettanto irriducibile esigenza di una cultura e della cultura umana
in generale, per cui queste, per così dire, necessitano di specifici attori che recitino determinate parti[22].
Nella intera letteratura junghiana, moltissimi sono gli usi del termine, ma le definizioni principali che esso, di volta in volta, apre, possono essere
così raggruppate e distinte: 1) il Sé come legge morale del singolo; 2) il Sé come stato psichico, per cui si parla di un suo continuo e costante confronto
con l'Io; 3) il Sé come stato psichico che si produce all'interno del processo psichico stesso; 4) il Sé come Io oggettivo; 5) il Sé come fattore soggettivo,
per cui si parla di percezione intuita del Selbst e del mondo complessivo, e si danno due precise antinomie: la prima è quella Selbst/Mondo e la seconda
è quella Io/Selbst. Ma intrecciato com'è a tutti gli approfondimenti teorici, clinici ed epistemologici che Jung compie nei primi cinquant'anni del xx secolo,
il termine viene usato con altre definizioni, e precisamente: 6) il Sé come sfondo della struttura psichica complessiva; 7) il Sé come fatto collettivo e
universale, e contemporaneamente come l'elemento psichico più estraneo ed esterno alla coscienza; 8) il Sé come prodotto dei continui processi psichici
di differenziazione e integrazione, ossia come esito degli urti e riconfinamenti continui tra l'uomo e il mondo; 9) il Sé come residuo indeterminato
di un'originaria discriminazione psichica mai completa, a cui si sarebbe rinviati se all'interno del processo psichico si venisse a rendere necessaria
una ridefinizione di sé dall'altro da sé; 10) il Sé come processo di centrazione psichica, complementare alla tendenza psichica verso la scomposizione
psichica delle parti della stessa psiche; 11) il Sé come simbolo dell'unione tensionale delle coppie di opposti, per cui si parla di una congiunzione
non sintetica degli stessi opposti, e si è rinviati a procedure logiche e psicologiche di tipo antinomico e paradossale[30].
Certamente si deve notare l’eccessiva proteiformità che il termine riveste in Jung. Se pensiamo poi che addirittura a questa molteplicità di significati
si potrebbero aggiungere altre accezioni reperibili in altre dottrine e in altri autori, certamente non possiamo non sentire la necessità di limitare il
nostro campo. Nel senso più intrinseco al nostro lavoro, e ai fini di chiarezza e semplicità, pensiamo ci si possa attenere per il momento alle sole
accezioni 8, 10 e 11 di cui sopra. In esse emergono tre elementi: l’idea aprioristica di meta e di centro, quella a posteriori di risultante di un viaggio,
quindi di condizione da esso determinata, e, infine, di sintesi degli opposti. Quanto questa posizione si avvicini ad alcuni concetti hegeliani potremo
meglio chiarirlo nelle conclusioni. Aggiungiamo qui soltanto una nota riguardante un altro Sé, meta di uno dei tre processi di individuazione che prenderemo
in considerazione nel terzo capitolo: il Sé transpersonale di Assagioli. Questa struttura non è una struttura solo personale, ma partecipa in parte
dell’inconscio collettivo superiore; non è determinabile col processo di ascesa, ma è a priori in quanto creatore dell’Io, creatore a cui l’Io tende
naturalmente. Lo vedremo meglio (cfr. pag. 137) nel terzo capitolo. [1]
Pieri, P.F., Dizionario
junghiano, Torino, Boringhieri, 1998, pag. 564 [2]
Ibidem,
pag. 350 [3]
Ibidem [4]
Ibidem [5]
Ibidem [6]
Ibidem [7]
Ibidem [8]
Ibidem [9]
Ibidem,
pagg. 350-351 [10] Ibidem, pag. 351 [11]
Ibidem,
pagg. 351-352 [12]
Ibidem,
pag. 349 [13]
Jung, (1921), Tipi psicologici,
Opere, vol. VI, pag.462 [14]
Jung, (1928c), L’Io e
l’inconscio, Opere, Vol. VII, p.173 e segg. [15]
Pieri, P.F., Dizionario
junghiano, Torino, Boringhieri, 1998, pag. 349 [16]
Ibidem,
pag. 363 [17]
Ibidem,
pag. 364 [18]
Ibidem,
pag. 364 [19]
Ibidem,
pag. 365 [20]
Leibniz, Nuovi saggi
sull'intelletto umano, III, 3, § 6 [21]
Jung, (1921), Tipi
psicologici, Opere, Vol. VI, p. 465 [22]
Pieri, Op. cit., pagg. 536-537 [23]
Ibidem,
pagg. 537-538 [24] Ibidem, pag. 538 [25] Ibidem, pag. 312 [26]
Ibidem,
pag. 312 [27]
Jung, 1921, Tipi psicologici,
Opere, Vol. VI, pagg. 449 e seg. [28]
Nelle dottrine orientali (induismo, buddismo, ecc.) ed anche nella
psicosintesi assagioliana sono previste delle tecniche specifiche di
disidentificazione. In psicosintesi il termine vuol connotare la
“discriminazione fra l’io e il non-io, che si ottiene nella
coscienza con il continuo obiettivare i successivi e transitori
contenuti della coscienza stessa. Questo porta alla fase di
autoidentificazione”. (Assagioli, Comprendere
la psicosintesi, 1991). Ma anche “esercizio fondamentale della
psicosintesi usato per conquistare la consapevolezza
dell’auto-identità”. (Ibidem) [29]
Yourcenar, L’opera al nero,
pag. 15 [30]
Pieri, P.F., Dizionario
junghiano, Torino, Boringhieri, 1998, pag. 651 [31]
Ibidem,
pagg. 347-348 [32]
Ibidem,
pag. 348 [33]
Sollen sta per “dover essere” ossia per ciò che è ritenuto
doveroso od auspicabile, mentre sein,
essere, sta per l’effettiva realtà, per come stanno di fatto le
cose. [34]
Ibidem,
pag. 62 [35]
Ibidem,
pag. 63. I corsivi inseriti in questa citazione sono nostri. | ||
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