LA    VIA    DEI    QUINDICI    PASSI


Capitolo 3:    IL  METODO  DELLE  SCIENZE





                    







Il metodo nelle scienze naturali



Le teorie al vaglio del metodo scientifico

La pratica e il metodo


Quando saremo giunti al termine del nostro quindicesimo passo potremo dimostrare che le promesse pratiche della psicodialettica sono state mantenute? Che tipo di sapienza, di virtù, di pratica stiamo proponendo e raggiungeremo? Quali elementi osservabili offre il nostro metodo al controllo del metodologo? Alcune delle azioni nuove che il quindicesimo uomo effettivamente compie, molte delle decisioni che prende, delle parole che pronuncia non sono forse dati oggettivi?

La psicodialettica è fatta di quindici passi. L'ottuplice sentiero illustra solo gli ultimi cinque. Ma nei primi dieci passi di dolore da smaltire ce ne è ancora tanto. Possiamo considerare la psicodialettica (quindici passi) una teoria più ampia che non il buddhismo (cinque passi). La sua analisi epistemologica sarà dunque più complessa. Non ci resta che affrontarla, separando il poco di scienza che contiene da quel molto di metafisica che la contorna.

Una teoria per essere ammessa fra le scienze empiriche deve essere confutabile, ma non essere mai stata ancora confutata.

In questi percorsi di validazione, che possono essere lunghissimi, non bisogna perdersi d'animo. La storia ce lo insegna. Abbiamo visto teorie, che un tempo erano solo idee filosofiche, diventare, col progredire della ricerca, verificabili, a motivo della crescita dei mezzi di osservazione e di controllo. Per esempio la teoria atomistica, che non andava oltre la metafisica ai tempi di Democrito, possiede oggi analogie con teorie scientifiche oggi controllabili grazie agli acceleratori di particelle.

Speriamo che possa capitare anche alla nostra. Per cui partiamo coraggiosamente.

C'è stato un ben preciso momento in cui ho sentito di essere su una via definita da tempo, ma che solo allora trovava le parole per dirsi. È accaduto nel 1989 mentre preparavo il mio intervento per il Congresso internazionale di Lugano sulla Intelligenza Artificiale. La via che ho visto in quel momento davanti a me (ma la stessa via stava anche dietro di me ed era quella che avevo già percorso) traversava una terra monacale. Mi accorsi, e fu un'epifania improvvisa, d'averla percorsa sempre, senza saperle dare alcun nome, sin dal tempo giovane dell'università. Fui dunque sempre nell'anima un monaco cristiano, prima di scoprirmi anche buddhista. Le due anime vivono in me in sinergia naturale, senza alcun mio intervento correttivo. L'esperienza degli anni che seguirono l'89 giunsero a completare un sistema filosofico che dall'inizio del mio insegnamento (1977) aveva dovuto occuparsi soprattutto di Hegel, Freud, Jung e Popper. Ne nacque pian piano la via dei quindici passi che fu a lungo praticata e affinata con un gruppo di allievi nelle meditazioni domenicali che conducevo presso l'abbazia benedettina di Torrechiara nella pianura parmense. Anni più tardi, nel 2007, due allieve mi chiesero di potersi dedicare a un riassunto dei miei quindici passi (ne risultava poco più di un indice) nel loro volume che titolava "Di alcuni passi sulla via psicodialettica" ed era dedicato alla mia teoria evolutiva.

Era pero giunta, a quel punto, l'ora di chiedersi se questa teoria, almeno in qualche sezione, apparteneva o meno a qualche tipo di scienza.

Per rispondere occorreva fare un passo indietro e affrontare con severità la questione e chiedersi quando è che una teoria è scientifica.

Scegliamo questa definizione: una disciplina appartiene almeno in alcune parti alla scienza se in queste parti la sua teoria è confutabile e i suoi concetti sono osservabili. Sappiamo che le scienze empiriche naturali (fisica, chimica, ecc.) soddisfano in generale questa condizione, mentre le scienze umane (sociologia, psicologia, ecc.) la soddisfano solo entro modalità adatte alla loro natura, ossia ai temi trattati.

Le teorie empiriche devono essere controllabili empiricamente; e sono tali quando le sue leggi sono relative ad eventi confrontabili con l'esperienza. A queste condizioni la psicodialettica non può sperare che di appartenere alle scienze umane. Cercheremo di capire di conseguenza quanto convenga impegnarvi i propri sforzi.

Nella nostra disciplina il modello hegeliano è pura speculazione filosofica e non ha nulla a che fare con la scienza. Poco di più può dirsi degli eventi di separazione e individuazione del campo junghiano. Un discorso più problematico può invece aprirsi nel primo e nel terzo viaggio in quanto sia la parte freudiana che quella buddhista hanno anche non pochi concetti controllabili.

Pensiamo al terzo viaggio e chiediamoci: conviene meditare? E' obbiettivamente controllabile che faccia così bene come noi diciamo? E' provato il suo grado di efficacia? E' probabile che una persona, esterna al nostro mondo buddha, abbia in sé queste domande, visto che gli si chiede di fare ben otto impegnativi gradini per salire fin lassù.

Noi dobbiamo rispondere a queste domande. Dobbiamo dimostrare che la Psicodialettica (nelle sue costituenti freudiana e buddhista che vantano qualche pretesa in tal senso)abbia una qualche efficacia sul piano della spiegazione e della previsione. Dobbiamo elencare i dati in ingresso e in uscita e chiarire quali siano osservabili (e in che misura) e quali no. Si tratta di una impresa insidiosa in quanto partiamo già ben consapevoli che solo il soggetto praticante vede e sente i parametri in ingresso e in uscita in modo forte anche se inficiati dalla soggettività.

Quali sono i fatti controllabili nel terzo viaggio buddhista? Possono essere descritte in modo osservabile le caratteristiche thatata di arrivo del quindicesimo uomo? Lui stesso, almeno, può osservare con chiarezza, il grado, pur non misurabile, di assenza di attaccamento (raga), avversione (dosa), ignoranza (avijja)? Dovremo accontentarci di risposte qualitative, come sempre in questi campi.

E i dati di partenza? La convinzione che il nostro corpo, la nostra mente, i nostri possessi, gli eventi stessi che ci capitano siano dotati di esistenza, sostanza, permanenza, peso, desiderabilità o sgradevolezza devono essere tutti misurati o qualcuno può essere ritenuto una ovvia naturale presenza?

In campo psicoanalitico si afferma, credo a ragione, che i miglioramenti di un paziente ben analizzato possono essere osservati e compresi solo in parte da un osservatore esterno che non abbia fatto una uguale esperieza analitica, mentre due persone analizzate con successo sanno benissimo cosa stanno provando e di cosa stanno parlando. Essi hanno visto le stesse cose invisibili.

Credo che la stessa cosa possa dirsi di due meditanti vipassana i quali immaginano di sapere abbastanza bene cosa sta provando l'altro ("sta certo provando quello che sto provando io!"), ma non riuscirebbero a descriverlo ad alta voce ad un ascoltatore estraneo al mondo della meditazione. Lo si potrebbe vedere solo dalla loro beatitudine

Di solito non si insiste per convincere i profani della bontà della via. Una delle poche armi disponibilli pare essere: provare per credere. Anche se, almeno un po', occorrerebbe crederci a priori per esser disposti a iniziare a provare.