LA    VIA    DEI    QUINDICI    PASSI


Capitolo 3:    SCIENZA  E  OTTUPLICE  SENTIERO





                    







Scienza e ottuplice sentiero



Scienza e ottuplice sentiero

Il metodo delle scienze umane


Il sentiero della liberazione dal dolore Tutta la dottrina buddhista potrebbe ridursi, all’atto pratico per noi occidentali di oggi, a una manciata di foglie, ossia a pochi concetti necessari e sufficienti.

L’osservazione dei mali del mondo suggerisce che gran parte di questi sia dovuto al Sankhara, ossia al fatto che siamo condizionati e che sono esistiti, e/o ancora esistono, fattori condizionanti di cui dobbiamo liberarci in quanto produttori di veri e propri veleni, quali l’attaccamento, l’avversione e l'ignoranza della realtà delle cose. Siamo convinti di essere caratterizzati da peso, materia, sensazioni, pensieri, emozioni, insomma di essere fatti di corpo e mente, e questi siano il nostro “io”. Siamo inoltre convinti che essi siano permanenti. Non solo: crediamo che anche le cose del mondo esterno siano permanenti, soprattutto i miei possessi, il cosiddetto “mio”, durevole e nostro. Questi tre veleni (l’attaccamento alle cose piacevoli, all’io e al mio, l’avversione per le cose sgradite, l’ignoranza dell’impermanenza e dell’inconsistenza) producono dolore, come ci dicono le quattro nobili verità. Le quali peraltro ci assicurano che possiamo liberarci dal dolore e ci insegnano il cammino per farlo.

Tale cammino è un sentiero a otto gradini o passi, illuminato da tre grandi astri, tutti necessari al cammino: la saggezza, la virtù, la pratica. Trattiamoli separatamente, e nell’ordine suggerito dalla dottrina buddista, ricordando però che l’ordine in cui un viandante li può apprendere e fare propri non è rigidamente fissato e può essere adattato alla propria costituzione e al proprio registro culturale. Essi si generano l’un l’altro in modo circolare e scegliere prima l’uno o l’altro può esser lasciato alle attitudini personali.

A - L’acquisizione di Panna (in lingua pali) o Prajna (in sanscrito), o saggezza, richiede due apprendimenti:
1 – la retta visione delle cose: vedere chiaramente come sono le cose (ossia dolorose, impermanenti, inconsistenti) e agire di conseguenza.
2 - rette intenzioni, pensieri, decisioni, atteggiamenti, giusti propositi, e loro corretta risoluzione. Spesso non si è consci dei motivi nascosti che ci muovono. Questi potrebbero essere egoisti e indegni. Dobbiamo chiarire a noi stessi i motivi delle nostre azioni prima di porle in essere. Un’intenzione retta ha almeno tre caratteristiche: liberarsi dall’attaccamento, dalla collera, dall’ignoranza e dall'abitudine di danneggiare gli altri. Essi sono veleni e solo se ce ne libereremo, anche i successivi tre gradini (il corretto parlare, agire, sostentarsi) saranno possibili.

B - Sila, la virtù, richiede la presenza di tre condizioni:
3 - retta parola, o astensione dalla menzogna, dalla calunnia, dal parlare ozioso. Adottare una parola costruttiva e utile, che possa giovare a se stessi e ad altri.
4 - retta azione, ossia avere compassione verso ogni vivente. Non nuocere ad alcuno per superficialità e avventatezza, e nemmeno per solerzia. Non aver bisogno di dominare o di essere dominati.
5 - retti mezzi di sussistenza: né troppa ricchezza, né troppa povertà. Modo appropriato di guadagnarsi da vivere. Evitare i guai. Imparare a riconoscerli da lontano. Fare buon uso del tempo, lavorare con amore, conservarsi in buona salute. Vi rientrano sonno, sport, alimentazione, armonia con la propria costituzione individuale.

C - La pratica, o Samadhi, è principalmente rivolta alla “meditazione di consapevolezza”. La pratica affronta tre gradini:
6 - retto sforzo spirituale: fare sì che la fatica nel coltivare il bene ed evitare il male non sia eccessiva, ma nemmeno scarsa. Che ci sia la giusta manutenzione del nostro spirito.
7 - retta consapevolezza: evitare la distrazione e la sbadataggine, attenzione alle cose che giungono alla coscienza, tenendo presente che la loro percezione può aprire la porta al desiderio e quindi al dolore se divide le cose in buone e cattive.
8 - retta meditazione: i sette precedenti gradini contribuiscono a rendere facile la meditazione. A sua volta la meditazione contribuisce a rendere naturale la pratica dei gradini precedenti. L’antica tradizione si serve della meditazione praticata dal Buddha ed è chiamata anapanasati. Questa consiste nella osservazione successiva del respiro, del corpo, delle sensazioni, della mente, del Dhamma. L’oggetto dhamma è di vasto e plurimo significato. Esso significa almeno quattro cose: la realtà esterna e interna, la dottrina del Buddha o legge, l’armonia, i benefici derivante dal possesso della saggezza, dall’esercizio della virtù, dalla pratica della meditazione.

La continua pratica dell’ottuplice sentiero ci renderà edotti che il mondo è impermanente, inconsistente, insoddisfacente, vuoto, e che è inutile provare avversione per questo fatto. Per evitare il dolore è importante accettarlo così com’è, senza giudicare, senza argomentare. Il mondo non è né bene né male, è così e basta. Questo esser così, che in lingua pali vien detto tathata. Questa convinzione, allorché sarà divenuta stabile e definitiva che renderà liberi dallo attaccamento all’io/mio, dall’avversione, dall’illusione della permanenza e della consistenza. Allora la nostra esistenza non sarà più condizionata e avremo raggiunto la capacità di lasciar essere le cose, le persone, gli eventi, così come sono.

Conclusioni
Questa conoscenza e accettazione di impermanenza, inconsistenza, insoddisfazione, vacuità e quiddità (essenza), annulla gli effetti del Sankhara ed è il punto più alto del buddismo e anche della Psicodialettica.