Sezione  iniziatica

del

Centro internazionale di Psicodialettica


Fondatore: Luciano Rossi 

Responsabile  del  sito: Luciano Rossi 


  

La trasformazione effettiva



 

La pratica - Introduzione - Morfologia della fiaba - Iniziazione effettiva - Psicoanalisi del Vangelo - L'evoluzione del femminile

Il sentiero quinario - I 15 passi - Il primo viaggio - Il secondo viaggio - Il terzo viaggio - La grande Opera - Articoli - HOME  




La trasformazione effettiva
di Luciano Rossi

Negli Ordini cavallereschi l’iniziazione formale è un’esperienza che per il futuro cavaliere si traduce nell’ascolto, sia pure in condizioni emotive particolari, di un verbo fatto di bellezza, di forza, di saggezza. Di un verbo però che si fa, anche se solo in parte, immediatamente emozione, per il fatto che il candidato è calato col corpo in un’oscurità nebulosa, in un ambiente che non riesce a vedere e in cui ode frasi enigmatiche che per ora significano poco per lui. Ma tuttavia ancora si tratta principalmente dell’ascolto di un verbo "di carta". Viene infatti soltanto descritto "a parole" un lavoro che è ancora tutto da compiere.

L’iniziazione reale consisterà nella lenta successiva traduzione di quel verbo, udito prima a parole, in parole “di carne”, in sacrificio, in trasformazione quotidiana. Ricordate il Vangelo di Giovanni? Il Verbo si fece Carne ed abitò fra di noi. Come potrà avvenire questa traduzione dal verbo alla carne? Potrebbe essere molto semplice rispondere: "Avverrà passando dalle parole ai fatti". Occorrerà quindi tacere e compiere delle azioni, ossia lasciar parlare i fatti. Detto così sembra facile. Basta lavorare e la trasformazione accadrà. Basta non lavorare e tutto resterà nascosto. Basta non lavorare e resteremo fermi alle belle frasi dei maestri d'arme: resteremo alla luce delle lampadine, al gradino in cui sostano i profani, alla forma della pietra che nessun scalpello ha mai toccato.

Ma come si fa concretamente a lavorare per trasformarsi? La via è assolutamente personale, ma qualche indicazione può pur essere data a chi la desidera e la chiede. Proviamo ad indicare una delle vie che a noi paiono possibili. Primo: Dobbiamo camminare in salita. Ogni volta che si sale di un altro gradino un ulteriore panorama si rivela. Secondo: Dobbiamo mettere in pratica le parole. Sino a che le parole di un grado non siano divenute una pratica vissuta, lo stadio seguente non può venire percepito. Terzo: Dobbiamo scendere in campo con tutto noi stessi, senza lasciare indietro alcun contingente di personalità. Sino a che un suggerimento non sia pienamente seguito, il suo insegnamento più profondo rimane nascosto. Quarto: Dobbiamo sfruttare le ore di luce. Sino a che la luce che ci è stata concessa non viene utilizzata, non si accede ad un’ulteriore illuminazione. Occorre insomma ”battere il ferro finché è freddo”. Quinto: Dobbiamo creare le condizioni ambientali adatte. A questo proposito indichiamo due cose che ci appaiono perfette: il silenzio e la solitudine. Sesto: Semplicemente mettersi al lavoro anche se non si sa come. Solo lavorando si diventa capaci di lavorare; "solo costruendo, il costruttore diventa tale".

Queste sei indicazioni prospettano un cammino immediatamente difficile e può darsi che molti neofiti diventino tristi a questo annuncio. Ricordo la parabola del giovane ricco che si presentò a Gesù e chiese cosa doveva fare per conquistare la vita eterna? A costui Gesù rispose di fare l’elemosina, di pagare le decime, ecc. Al che il giovane rispose che già faceva questo. Se poi vuoi diventare perfetto - gli disse Gesù - regala tutto ciò che hai e seguimi. Ma il giovane divenne triste perché possedeva molte cose. Così anche a noi. Finché ci viene indicata la strada della solidarietà, della morale, della socialità, tutto ci torna facile. Ma quando ci viene chiesto di liberarci del desiderio e di camminare verso la luce, o non capiamo che cosa significa o, se capiamo, diventiamo tristi perché questo ci chiede uscire da quell’ego che ci ha servito e dato lustro sino ad oggi. Gesù indica dunque due livelli al giovane ricco: uno essoterico ed uno esoterico, uno di carta e uno di carne. Dapprima gli indica quello essoterico: pagare le decime, digiunare, leggere le Scritture, ecc. Poi quello esoterico: se vuoi essere perfetto prendi tutto quello che hai, dallo ai poveri e seguimi. Come dire: resta con me ed assorbi il mio messaggio silenzioso.

Ma le abitudini consuete sono tenaci e difficili da estirpare, sono un riflesso condizionato, una programmazione neurologica, una coazione a ripetere. Esse vanno espulse con gli stessi modi emotivi con cui sono state acquisite. E le nuove abitudini vanno acquisite con gli stessi modi emotivi con cui sono state acquisite le vecchie. Ma alla trasformazione della carne noi opponiamo sempre resistenza, mentre raramente si oppone resistenza alla carta o al livello essoterico. Perché?

Crediamo che si tratti di questo: per imparare una cosa con la mente, o se preferiamo con la testa, basta un attimo; te la dicono e così tu la sai, semplicemente e subito, senza fatica; per fare entrare invece la stessa cosa nella carne si impiegano anni o decenni, di tolleranza e di dolore. Se per essere davvero trasformati bastasse sapere le cose con la testa, basterebbe che ce le dicessero e tutto sarebbe finito. Ma non è così; anche quando ce le avessero solo dette e magari ridette, noi saremmo ancora come prima.

In psicoanalisi per esempio... i pazienti entrano in terapia con le cose della loro infanzia intessute nella carne e quindi è chiaro che possono cacciarle via solo con lo stesso metodo con cui le hanno apprese. Chi ha le cose dell’infanzia intessute nella carne le conosce solo in profondità, con il suo inconscio profondo, ma in un modo inenarrabile, tanto che sembra non ricordarle, non le sa raccontare tutte e completamente. Ma, anche se gli fosse possibile farlo, queste non diventerebbero mai un’esperienza dell’analista, quindi lui le saprebbe solo con la testa e tutto sommato non saprebbe di che farsene. Ciò che conta davvero è che la cose dell’infanzia non vengano raccontate soltanto, ma che vengano riprovate lì di nuovo, e questa volta con un interlocutore benevolo. All’analista spetta un compito particolare: non quello di sapere; gli spetta il compito di essere un "interlocutore" diverso da quello che il paziente ha conosciuto nell’infanzia, così che il paziente possa vivere un secondo apprendimento della carne.

La nuova abitudine emotiva caccia giù dalle scale la vecchia abitudine un gradino alla volta. Solo quando si arriva in fondo alla scala si conosce un nuovo modo, questa volta adulto, di avere rapporti sociali. In analisi e nel cammino iniziatici non si sa ascoltare. Le parole dell'analista o del maestro non arrivano nemmeno al destinatario. Quest'ultimo oppone una fitta cortina ininterrotta di parole sue che travolgono le parole in arrivo e le portano via come la corrente impetuosa di un fiume. Se mi passate questa immagine, le parole del maestro sono come quel malcapitato che cercasse di entrare allo stadio alla fine della partita mentre la folla dei tifosi sta uscendo; verrebbe travolto e spinto fuori dalla fiumana. Allo stadio non arriverebbe mai.

Occorre che rinunciamo alle nostre parole per udire quelle del maestro. Rinunciare alle nostre parole che urgono per uscire è dolore. Si tratta di fermare una voce estranea che esce con forza, in modo automatico e a nostra insaputa. Se la fermiamo, ammesso che ci riusciamo, proviamo angoscia. Il Dolore del lavoro iniziatico è l’unico mezzo possibile di apprendimento gnostico e di iniziazione effettiva. In particolare provoca dolore l’apprendimento della tolleranza, l’esercizio della pazienza, il permettere che l'Altro sia così com’è, diverso da come lo vorresti. Infine provoca dolore la mancanza di risposte da parte del Maestro, ossia il silenzio dell’Altro: al silenzio segue il Dolore del ritorno all’inizio, all’apprendistato, dell’avere ancora una volta sbagliato nel porre una domanda che non otterrà risposta.

Ciò che impedisce al neofita di procedere è la resistenza opposta dalla vita precedente che non vuol morire, la difesa, l’evitamento, il rifiuto di soffrire. Ma paradossalmente uno dei maggiori alleati della crescita è proprio la resistenza, in quanto la resistenza è il nemico che col suo ostacolo permette al neofita di cadere, di conoscere la felix culpa dell’errore. La resistenza fa conoscere al neofita il dolore di non procedere: ma anche in questo dolore sta il suo procedere. Il rialzarsi sta nel capire quest’ultima cosa. Dunque il procedere spesso è un tornare indietro. In questo caso proprio la caduta è il nostro successo. L’insuccesso è importante, una tappa obbligatoria; da esso solo si apprende. Solo se otterremo la punizione del ritorno all’inizio, potremo procedere. I tentativi dell’allievo di conoscere il significato dei simboli saranno inutili perché un simbolo è inconoscibile. Non bastano all’apprendimento i rituali analitici o le parole dei maestri. L’allievo deve prima naufragare per poter conoscere il ritorno all’inizio. Occorre il dolore del ritorno all’inizio. Non si può conoscere questo prima di caderci sopra e di venire dolcemente ripresi. Tornare alla casella di partenza, come nel gioco dell’oca: ecco la nostra vittoria! Senza sofferenza ci sono solo parole vuote. Abbiamo grande capacità di capire le parole ma poca capacità di incarnarle, anzi poca rassegnazione ad incarnarle perché incarnarle richiede dolore. Purtroppo capire non ci trasforma, non ci sposta di un centimetro. Per trasformarci occorre che la parola si faccia carne e che abiti presso di noi.


 

La pratica - Introduzione - Morfologia della fiaba - Iniziazione effettiva - Psicoanalisi del Vangelo - L'evoluzione del femminile

Il sentiero quinario - I 15 passi - Il primo viaggio - Il secondo viaggio - Il terzo viaggio - La grande Opera - Articoli - HOME  


Per contattarci scrivete a luciano.rossi6@gmail.com

Copyright 2003 - Centro internazionale di Psicodialettica- All Rights Reserved

T>